Nella Sicilia degli anni ottanta, quando contravvenire alle regole dell’omertà era quantomeno impensabile, quegli spari che echeggiarono nella hall del “Riva Smeralda” furono un monito nei confronti di chi intendesse schierarsi dalla parte dello stato contro l’egemonia mafiosa. Proprio quello che Carmelo Jannì, proprietario di quel piccolo albergo di Carini, a due passi dal mare, aveva coraggiosamente deciso di fare.
Erano gli anni del business della droga, gli anni in cui gli uomini d’onore siciliani mettevano le mani sul mercato mondiale degli stupefacenti. La mafia dell’isola, secondo un rapporto dell’epoca della DEA, forniva un terzo del fabbisogno del mercato americano, quattro tonnellate di eroina pura all’anno.
Erano pure gli anni in cui la mafia lasciava sul terreno vittime eccellenti, dal presidente della Regione Piersanti Mattarella al procuratore capo Gaetano Costa.
Carmelo Iannì, albergatore 46 enne palermitano, marito e padre di tre figlie, non avrebbe mai pensato che quei fatti di mafia che stravolgevano la Sicilia lo avrebbero coinvolto, facendolo diventare innocente protagonista.
L’imminente arrivo in città di Andreè Bousquet, il miglior chimico marsigliese in circolazione, era un segnale inequivocabile che le raffinerie di droga si trovavano nel territorio di Palermo.
La più grande operazione antidroga, e la scoperta delle raffinerie di eroina, passò proprio dalla scelta di Carmelo Iannì.
Quella di permettere ad alcuni poliziotti di infiltrarsi nel suo albergo, fingendo di essere impiegati. L’albergo dove aveva deciso di alloggiare Bousquet, insieme ad altri due esperti di raffinazione giunti dalla Francia.
Per un mese circa, quindi, i poliziotti seguirono tutti i movimenti dei tre fino alla notte fra il 25 e il 26 agosto 1980 quando, in un edificio in costruzione nelle campagne di Trabia, scattò il blitz. Lì, insieme ai chimici e alla droga, la polizia trovò, con enorme sorpresa, anche il boss Gerlando Alberti, detto ‘u paccarrè.
La presenza sul luogo del blitz degli stessi agenti che avevano finto per un mese di essere impiegati dell’hotel fece facilmente intuire allo storico capomafia di Porta Nuova chi, in maniera determinante, aveva agevolato la polizia nella propria attività di indagine.
Il 28 agosto, pochi giorni dopo il blitz, alle 15.30 circa, due uomini eseguirono l’ordine che ‘u paccarrè aveva dato dal carcere, mettendo così fine alla vita di Carmelo iannì, colpevole di avere scelto di stare dalla parte sbagliata.
Cadde nella reception del suo albergo che con tanti onesti sacrifici aveva realizzato.
Per l’omicidio di Carmelo Iannì furono condannati all’ergastolo Gerlando Alberti e il suo complice Vincenzo Citarda. Gli esecutori materiali non sono mai stati individuati.
Nel 1990 il deputato radicale Alessandro Tessari presentò una interrogazione al Ministero della Giustizia per chiedere l’applicazione al signor Andrè Bousquet, cittadino di nazionalità francese, dei benefici previsti dalla convenzione di Strasburgo relativa al trasferimento nel proprio Paese delle persone condannate.
Il sacrificio di Carmelo Iannì che accettò di collaborare con le forze dell’ordine, mettendo a repentaglio la propria vita, in un’epoca in cui la mafia uccideva anche chi solo si permetteva di sbeffeggiare i boss dai microfoni di una radio, viene ricordato oggi come esempio di forte senso civico.
Con queste parole lo ha ricordato Sonia Alfano europarlamentare e presidente dell’associazione nazionale familiari vittime di mafia, in occasione del trentunesimo anniversario dell’assassinio.
“Oggi fare memoria e utilizzare contro il sistema mafioso sempre più istituzionalizzato le armi della parola e del ricordo, deve essere un modo per dare ai cittadini di domani gli strumenti per capire la nostra storia imbevuta di sangue innocente e far sì che vicende come questa non si ripetano.
“Oggi fare memoria e utilizzare contro il sistema mafioso sempre più istituzionalizzato le armi della parola e del ricordo, deve essere un modo per dare ai cittadini di domani gli strumenti per capire la nostra storia imbevuta di sangue innocente e far sì che vicende come questa non si ripetano.
La storia della famiglia Iannì racconta uno spaccato di realtà che ci offende tutti: non solo ha subito la violenza mafiosa, e non solo ha dovuto affrontare per lungo tempo l’indifferenza di una società civile disinformata e distratta, ma soprattutto quella dello Stato – sottolinea – che fin troppo spesso ha abbandonato i familiari delle vittime innocenti di mafia al proprio triste destino, soprattutto quando queste non potevano fregiarsi di un cognome celebre pur avendo tutto il diritto di rivendicare il proprio orgoglio e la propria dignità, esattamente come in questo caso”. Per questo è indispensabile una diffusa cultura antimafia ed è fondamentale trasmettere i valori di uomini semplici e coraggiosi come Carmelo Iannì ai ragazzi che si apprestano a fare quelle scelte che decideranno i destini del nostro Paese”.
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