L’11 agosto del 1982 tra i viali dell’ospedale Policlinico di Palermo due killer uccidono il professor Paolo Giaccone, direttore dell’Istituto di medicina legale del capoluogo siciliano e consulente del Tribunale di Palermo. Giaccone, come ogni mattina, si stava recando in ospedale per svolgere il suo lavoro. Era un professionista capace, ma anche una persona impegnata oltre l’esercizio della sue mansioni. Nel 1963, infatti, aveva istituito presso l’Istituto di medicina legale il Centro trasfusionale Avis per rispondere alla costante esigenza di sangue negli ospedali. Lui stesso era un assiduo donatore, tanto da ricevere all’età di 53 anni la Medaglia d’oro Avis. I suoi amici lo ricordano come un uomo dalle grandi qualità professionali e umane. Perché Cosa nostra decise di ucciderlo? Cosa aveva fatto il dottor Giaccone? O meglio, cosa non aveva fatto? Giaccone non si piegò alla volontà dei boss. Non accettò di manomettere una perizia dattiloscopica su un’impronta digitale rinvenuta a seguito di una sparatoria scoppiata a Bagheria, nella quale rimasero uccise quattro persone. L’impronta era una delle poche, se non l’unica, traccia lasciata da uno dei killer e utile a risalire alla sua identità. Per questo nei giorni successivi all’affidamento dell’incarico da parte del Tribunale, Giaccone ricevette pressioni e minacce, nonché la telefonata di uno dei legali degli imputati. Il professor Giaccone avrebbe potuto girare la testa dall’altro lato. Nessuno se ne sarebbe accorto e probabilmente avrebbe pure ricevuto qualche bel regalo da parte dei boss in segno di riconoscenza. D’altronde, il sistema sanitario e il contesto sociale siciliano erano fortemente influenzati da omertà e collusioni, per cui cedere ai ricatti di Cosa nostra e scendere a compromessi con la propria coscienza sarebbe stato abbastanza naturale. Ma Giaccone era un uomo onesto, integerrimo, con una grande senso del dovere e della legalità. Decise, quindi, di ignorare quelle richieste e andare avanti senza dubbi ed esitazioni, pur consapevole che quella scelta avrebbe messo in pericolo la sua vita. Oggi i suoi assassini sono stati assicurati alla giustizia, l’ospedale Policlinico porta il suo nome, qualcuno nel giorno del suo assassinio lo ricorda. Da allora sono passati 29 anni, ma in pochi hanno fatto memoria del suo sacrificio, nonostante l’elevato valore civile della testimonianza lasciataci da Giaccone. Non basta, infatti, l’intitolazione di un ospedale o la commemorazione di qualche politico o di qualche realtà associativa. La sua eredità di medico e di cittadino esige una presa in carico della sua eredità da tradurre in un impegno costante e quotidiano in favore della legalità e del bene comune. |
Ma a tanti anni di distanza dall’omicidio Giaccone qualcosa è cambiato, nonostante la morte del medico legale sia sempre la stessa? Si, “Paolo Giaccone “non rientra più nella categoria delle vittime di “terrorismo mafioso e criminalità organizzata”. Lo fa sapere l’Inpdap alla figlia Milly che avrà conferma anche dal viceprefetto Maria Pedone della prefettura di Palermo, che, “senza grandi spiegazioni – dice Milly Giaccone - mi ha confermato che mio padre non rientra fra le “vittime del terrorismo mafioso”” e per questo lei non può essere considerata familiare di vittima di mafia. Eppure Giaccone, che non aveva accettato di “ammorbidirsi” alle richieste di Cosa Nostra, fu assassinato proprio per mano di Cosa Nostra. Per questo delitto sono stati condannati Filippo Marchese, come mandante, e Salvatore Rotolo come esecutore. Nel 1995 la corte d'appello ha condannato dieci componenti della cupola mafiosa per lo stesso omicidio. Una storia su cui la Prefettura e l’ente pensionistico Inpdap sono chiamati a fare luce al più presto, prima di tutto per rispetto verso la figura di un uomo coraggioso come è stato il professor Paolo Giaccone, che sembra essere diventato una ‘vittima di serie B’ per via di una burocrazia troppo spesso cieca. |
Nessun commento:
Posta un commento