venerdì 28 dicembre 2012

Attività di Casa Memoria

Casa Memoria Felicia e Peppino Impastato si accinge a diventare “bene culturale testimonianza della storia collettiva e simbolo della lotta contro la mafia”.

Venerdì 7 dicembre scorso, giorno in cui si commemorava l'ottavo anniversario della morte della mamma del militante ucciso dalla mafia il 9 maggio '78, è stato compiuto il primo passo: davanti la porta della casa in cui vissero Felicia e Peppino, insieme a tutta la famiglia Impastato è stata apposta una targa.
"E' un fatto importante, perchè è la prima volta che un luogo simbolo della lotta alla mafia ottiene un riconoscimento istituzionale del genere; un riconoscimento voluto dal Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano", dichiara Giovanni Impastato, figlio di Felicia e fratello di Peppino.
"A livello regionale è stato fatto tutto quello che doveva essere fatto affinchè Casa Memoria diventasse bene culturale, adesso per completare l'iter la pratica dovrà essere vagliata dal Ministero dei Beni culturali", conclude.
Doveva essere il presidente della Regione Rosario Crocetta a scoprire la targa affissa davanti Casa Memoria Felicia e Peppino Impastato di Cinisi, nell’8° anniversario della morte della madre del militante di democrazia proletaria, ucciso dalla mafia il 9 maggio del 1978, ma per impegni improrogabili non ha potuto ritrovarsi tra quelle mura che si accingono a diventare un bene culturale a testimonianza della storia collettiva e per la sua valenza simbolica di esempio di civilta’ e di lotta alla mafia”.
Alla cerimonia, oltre a Giovanni Impastato, erano presenti l'onorevole Giuseppe Lumia e i sindaci di sette comuni dell'hinterland, tra i quali Salvatore Palazzolo e Massimo Cucinella, primi cittadini rispettivamente di Cinisi (luogo in cui si trova Casa Memoria) e Terrasini.
Verso il 9 maggio 2013….

Il 18/12 L’associazione “Casa Memoria Felicia e Peppino Impastato” e il Centro siciliano di documentazione Giuseppe Impastato” di Palermo, presso i locali dell’ex Casa Badalamenti (C.so Umberto I, 183 - Cinisi), hanno presentato il prossimo raduno dei sindaci che si svolgerà nella giornata del 9 Maggio 2013 in occasione del 35° anniversario della morte di Peppino Impastato.
[Nella foto i Sindaci nella ex casa di Don Tano Badalamenti (la casa dei 100 passi), il 9 maggio 2012]
Presenti il vice – presidente nazionale di Avviso pubblico Gabriele Santoni; il presidente del “Centro siciliano di documentazione Giuseppe Impastato” di Palermo Umberto Santino; il presidente nazionale del CNCA Don Armando Zappolini; il presidente regionale del CNCA Salvo Cacciola.
Già quest’anno, dopo un appello promosso da Giovanni Impastato e da Casa Memoria Impastato, molti sindaci di comuni aderenti ad Avviso pubblico hanno partecipato alle iniziative in programma per il 9 maggio 2012.
A livello locale hanno anche aderito le associazioni: “Musica e Cultura”, Asadin, Azione Cattolica Ecce Homo, Istituto comprensivo“Giovanni Meli”, la Consulta giovanile, Associazione calcio Città di Cinisi, Assessorato alla cultura, Biblioteca comunale.
L’evento, è diventato un appuntamento annuale ed ha creato una rete tra gli enti e le associazioni locali e le grandi organizzazioni nazionali (Acli, Agesci, Arci, Libera, CGIL, CNCA, Emergency, Lega ambiente, Uisp).
Per il prossimo 9 Maggio le associazioni promotrici hanno rinnovato l’invito ad altre associazioni e cittadini ad aderire, con proposte per preparare insieme il programma.
Alla fine dell’incontro, sono state poste altre due “pietre d’inciampo”, dedicate alla memoria di Felicia Bartolotta Impastato, davanti Casa Memoria Impastato e l’ex casa Badalamenti, per continuare il percorso dei “Cento passi”, previsto nel progetto “Un ponte per la memoria”. E' intervenuto anche il presidente della Fondazione di studi sulla 'ndrangheta Claudio La Camera coordinatore del progetto “Un ponte per la memoria”.
Carmen Consoli - Ciuri di campu (fiore di campo)

domenica 9 dicembre 2012

Verità indicibili

C’è una verità indicibile nelle stanze del potere, un potere non conoscibile dai cittadini che si nasconde, che si sottrae a ogni forma di controllo. La ragion di Stato rischia di diventare un ombrello difensivo sotto il quale proteggere la parte oscura del potere, il suo volto osceno, e la storia occulta dei patti inconfessabili, compresi quella tra Stato e mafia.” (Antonio Ingroia)

Servizio Pubblico, Agnese Borsellino: “Il mio sdegno per Mancino”
Agnese Borsellino, moglie di Paolo, commenta dopo anni di silenzio gli ultimi avvenimenti relativi al processo sulla trattativa e alla decisione della consulta sul conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato.
Punta il dito contro Nicola Mancino. « Non ho il titolo, né la competenza per commentare conflitti di attribuzioni sorti tra poteri dello Stato - dice a Servizio Pubblico in onda giovedì 7/12 su La7 - ma sento di avere il diritto, forse anche il dovere, di manifestare tutto il mio sdegno per un ex ministro, presidente della Camera e vice presidente del Csm, che a più riprese nel corso di indagini giudiziarie, che pure lo riguardavano, non ha avuto scrupoli nel telefonare alla più alta carica dello Stato, cui oggi io ribadisco tutta la mia stima, per mere beghe personali ». La Borsellino definisce Mancino « abile a distrarre l’attenzione dalla sua persona e spregiudicato nel coinvolgere la presidenza della Repubblica in una vicenda giudiziaria, da cui la più alta carica dello Stato doveva essere tenuta estranea ». C’è anche una domanda inquietante nella lettera di Agnese Borsellino: « Chi era e quale ruolo rivestiva l’allora ministro dell’Interno Mancino quando il pomeriggio del primo luglio del ’92 incontrò mio marito? Perché Paolo, rientrato la sera di quello stesso giorno da Roma, mi disse che aveva respirato aria di morte? ».

Amministratori locali nel mirino
Sono 270 gli atti di intimidazione monitorati nel rapporto annuale di Avviso Pubblico. Atti intimidatori anche al Centro - Nord, dal Lazio alla Liguria

È stato presentato il 7 Dicembre a Roma, presso la sede della Provincia, il Rapporto Amministratori sotto tiro.
Intimidazioni mafiose e buona politica curato da Avviso Pubblico. All’evento sono intervenuti:
Nicola Zingaretti, Presidente della Provincia di Roma
Andrea Campinoti, Presidente di Avviso Pubblico
Rodolfo Sabelli, Presidente Associazione Nazionale Magistrati
Francesco Forgione, già Presidente della Commissione parlamentare antimafia
Umberto Santino, Presidente del Centro Siciliano di Documentazione. “G. Impastato”
Franco La Torre, Figlio di Pio La Torre e Presidente di Flare.
Hanno portato la loro testimonianza i Sindaci di Isola Capo Rizzuto, Carolina Girasole; di Polistena, Michele Tripodi; di Vittoria, Giuseppe Nicosia.
I dati del Rapporto mettono in luce chiaramente e drammaticamente questi aspetti:
  • il numero delle minacce e delle intimidazioni mafiose e criminali nei confronti degli amministratori locali e del personale della Pubblica Amministrazione è in sensibile aumento: si è passati da 212 casi del 2010 ai 270 fatti censiti nel 2011 (+ 27%); gli atti intimidatori non si registrano soltanto nel Mezzogiorno – dove si conta la maggiore numerosità dei casi – ma anche nelle regioni centro-settentrionali dell’Italia, tra cui il Lazio, la Toscana, l’Emilia Romagna, la Liguria, la Lombardia, il Piemonte, il Veneto, il Friuli Venezia Giulia e il Trentino Alto Adige;
  • le minacce nei confronti degli amministratori locali sono sia dirette – nel senso che colpiscono direttamente le loro persone – che indirette, vale a dire che colpiscono le strutture e i mezzi comunali;
  • il 2012 è un anno in cui si registra un record negativo dei comuni sciolti per infiltrazione mafiosa: ben 25.
Dietro la maggior parte dei numeri citati in questo Rapporto esiste la storia di tante donne e di tanti uomini che vivono la politica e il loro operato all’interno della Pubblica Amministrazione come un servizio per il bene comune. Si tratta di persone normali, che sovente amministrano comuni di piccole e medie dimensioni, che non godono di particolari privilegi, di grosse indennità economiche e nemmeno di protezioni particolari.... Il rapporto completo è pubblicato anche on-line sul sito di Avviso Pubblico.

mercoledì 21 novembre 2012

Fermiamo la guerra a Gaza

Cari amici, in queste ore mentre si intensificano i bombardamenti e le stragi di vite umane vi invitiamo a firmare e diffondere l'appello "Fermiamo la guerra a Gaza" di Flavio Lotti Coordinatore Nazionale della Tavola della Pace. Dobbiamo chiedere all'Italia e all'Europa di farla finita con i silenzi, l'inerzia e le complicità che ancora una volta accompagnano questa tragedia. Contiamo sulla vostra collaborazione per far crescere la mobilitazione. Costruiamo una grande rete di gruppi, associazioni e persone per far crescere la pressione sui responsabili della politica nazionale ed europea. L'Italia e l'Europa hanno il dovere di fermare la guerra a Gaza.
Lo possono e lo debbono fare agendo con intelligenza e determinazione nell'interesse superiore dei diritti umani, della sicurezza internazionale, della giustizia e della pace. L'Italia, che vanta ottime relazioni sia con Israele che con i palestinesi, può fare molto.
Ma deve cambiare: smettere di essere di parte, assumere un ruolo attivo, propositivo e progettuale. Nel Mediterraneo, in Europa e all'Onu. L'Italia deve essere consapevole dei suoi limiti ma anche delle sue risorse, della sua prossimità e delle sue responsabilità. Cominciamo subito: mobilitiamoci per fermare le armi, chiediamo al Consiglio, alla Commissione e al Parlamento Europeo di agire immediatamente, riconosciamo alla Palestina lo status di osservatore all'Onu, smettiamo di vendere armi a Israele e in Medio Oriente e chiediamo all'Europa di fare altrettanto. L'inazione degli altri non può più giustificare la nostra. Ma fermare la guerra non basta. E' arrivato il momento di andare alla radice del problema, mettere fine all'occupazione militare e risolvere il conflitto tra questi due popoli. Non ci possiamo più permettere che continui così. E' troppo destabilizzante. Il conflitto è sulla terra. A entrambi i popoli deve essere riconosciuto il diritto di vivere in pace su quella terra con gli stessi diritti, la stessa dignità e la stessa sicurezza. La formula è "due stati per due popoli". E deve essere realizzata ora. Anche a costo di un'inedita e creativa "imposizione" internazionale. E' l'ultima possibilità. Non ci conviene più aspettare.

Invia la tua adesione alla:
Tavola della Pace
via della viola 1 (06122) Perugia - Tel. 335.6590356 - 075/5736890 - fax 075/5739337 

oppure aderisci on line:
  
Prime adesioni:
Tavola della pace, Acli, Cgil, Libera, Agesci, Arci, Articolo 21, Legambiente, Cipsi, Pax Christi, Focsiv, Lettera 22, Premio Ilaria Alpi, Unione degli Universitari, Unione degli Studenti, Rete della conoscenza, Link Coordinamento Universitario, Rete degli Studenti Medi, Associazione per la Pace, Beati Costruttori di Pace, Centro per la Pace Forlì-Cesena, Emmaus Italia, Lega per i diritti e la Liberazione dei Popoli, Cnca, Rivista Solidarietà internazionale, Terra del Fuoco, Movimento Federalista Europeo, Movimento Europeo...

domenica 18 novembre 2012

XVIII giornata della Memoria in ricordo delle Vittime delle mafie



Si terra' a Firenze la XVIII giornata della Memoria in ricordo delle Vittime delle mafie, il 16 marzo, marcia cittadina e incontro familiari
Sono oltre 500 i familiari delle vittime delle mafie, che si ritroveranno a Firenze in occasione della diciottesima 'Giornata della memoria e dell'impegno', intitolata quest'anno “Semi di giustizia, fiori di corresponsabilità”.
Promossa da Libera e Avviso Pubblico in ricordo delle vittime delle mafie', l'iniziativa e' sostenuta da Regione Toscana, Provincia e Comune di Firenze e si svolgera' nel capoluogo toscano il 16 marzo 2013. I familiari delle vittime si incontreranno a Firenze gia' il giorno precedente all'iniziativa, mentre il 16 marzo si terra' una marcia per le strade cittadine al termine della quale da un palco saranno letti i nomi delle 900 vittime delle mafie.
'Un terribile elenco incompleto - e' stato detto – perche' mancano tantissime altre vittime, impossibili da conoscere e da contare'.
Nello stesso giorno si terranno seminari che affronteranno diversi temi: dalla corruzione al gioco d'azzardo, dall'intreccio mafia-politica alle ecomafie, dall'educazione ai beni confiscati, dall'informazione allo sport pulito.
A presentare la giornata e' stato il presidente di Libera don Luigi Ciotti, insieme, tra gli altri, all'assessore toscano all'agricoltura Gianni Salvadori, al presidente della provincia di Firenze Andrea Barducci, al sindaco di Certaldo e Presidente di Avviso Pubblico Andrea Campinoti, e al referente di Libera in Toscana don Andrea Bigalli. Ciotti ha sottolineato che 'il problema piu' grave non e' chi fa il male, ma chi guarda e non fa nulla.
Il problema siamo noi, la nostra capacita' di essere cittadini a tempo pieno e non a intermittenza'.
Ciotti si e' poi soffermato sull'importanza della politica auspicando di 'sentire, da una politica alta e trasparente, parole chiave su ingiustizia, poverta', fasce deboli', per poi aggiungere che 'serve anche un'economia che ritrovi l'etica'.

lunedì 5 novembre 2012

Bernardino Verro un uomo contro la mafia

Per non darla vinta ai mafiosi e ai violenti di ogni risma, è necessario che nessuna vittima dell’ingiustizia diventi un nome senza storia...” 
E’ una frase del giornalista Alberto Spampinato, fratello di Giovanni, anche lui giornalista, ucciso dalla mafia nel 1972 e di cui in questi giorni ricorre l’anniversario della sua morte. Già, dei nomi senza storia; è quello che potrebbe accadere, finendo inevitabilmente per dimenticarli del tutto.... Non fraintendetemi, non è mia volontà fare delle commemorazioni, tutt’altro! Fare memoria è molto di più: significa legare indissolubilmente questi nomi alla loro storia, al loro impegno che, nel caso di Bernardino Verro significa legarlo alla lotta contro fame e miseria, volontà di scrollarsi di dosso secoli di schiavitù feudale e speranza di riscatto sociale. Bernardino dovette essere davvero un ribelle temerario, un “disobbediente” diremmo oggi; ma nella Sicilia del 1892, epoca dei “fasci siciliani”, il più grande movimento contadino europeo, lui era “un cani ca nun canusci patruni ”. Non esitò a definire pubblicamente gli amministratori comunali di Corleone, Ente del quale era dipendente: “usurpatori e sfruttatori del popolo ”; quando gli amministratori altro non erano che i più ricchi proprietari terrieri nonchè componenti della famigerata associazione segreta dei "fratuzzi" (come allora si chiamavano i mafiosi). Quando arrivò la ritorsione politica contro di lui, con il licenziamento, non si scoraggiò, venne fuori tutta la sua personalità combattiva per la quale oggi, a quasi cent’anni dalla sua morte viene ancora ricordato: insieme a Calogero Milone, Biagio Gennaro, Francesco Puccio, Liborio Termini, Angelo Provenzano e Francesco Streva, costituì il circolo repubblicano-socialista "La Nuova Età", con l'obiettivo di battersi per il rinnovamento sociale e politico di Corleone. Un pugno nello stomaco per i notabili del paese, che con rabbia dovettero prendere atto del "brutto" carattere del giovane Verro, sempre più vicino alla nascente ideologia socialista. E, quando in Sicilia spuntarono come funghi i fasci contadini, uno dei primi a nascere - l'8 settembre 1892 - fu quello di Corleone, presieduto proprio da Bernardino Verro. L'unione tra i poveri: era questo il messaggio semplice e rivoluzionario dei fasci. Verro e gli altri "apostoli" del socialismo isolano lo spiegavano così ai contadini: "Se voi prendete una verga sola la spezzate facilmente, se ne prendete due le spezzate con maggiore difficoltà. Ma se fate un fascio di verghe è impossibile spezzarle. Così, se il lavoratore è solo può essere piegato dal padrone, se invece si unisce in un fascio, in un'organizzazione, diventa invincibile…." La vita di Verro, Sindaco della sua città, si concluse il 3 novembre 1915 per mano di un sicario della mafia, con 11 colpi di pistola, nel fango di una via di Corleone, che impietosamente si mescolò col suo sangue. Il processo per il suo assassinio si concluse - incredibilmente - con la richiesta del pubblico ministero, di assolvere tutti gli imputati “per non aver commesso il fatto”, che il tribunale immediatamente accolse…. .... Questa pagina di storia di lotta e di coraggio legata indissolubilmente alla Sicilia che ancora oggi lotta contro la mafia, merita sicuramente di essere raccontata perchè rimanga viva la memoria, come la storia di un fiore che sempre rispunta dopo essere stato reciso, nella Sicilia che lo ha “ingiottito”.

Per chi volesse approfondire questa pagina di storia, suggerisco alcune fonti bibliografiche, facilmente reperibili (spero) nelle biblioteche comunali:
[Umberto SANTINO, Storia del movimento antimafia]
[Giorgio Bocca, Il sottosopra]

Un “ricordo musicale” del Collettivo “Peppino Impastato”

La guerra ambientale è in atto: FERMIAMOLA



La guerra ambientale è in atto: FERMIAMOLA !

Dalle mistificazioni scientifiche sul “global warming” alle manipolazioni globali della geoingegneria
Se ne è parlato in una conferenza a FIRENZE il 27 ottobre 2012 con:
ENZO PENNETTA, biologo, saggista, insegnante di scienze naturali, che ha trattato il tema: “controllo demografico e riscaldamento globale: interessi ed obiettivi di una teoria controversa”.
FABIO MINI, Generale NATO, saggista, esperto di questioni strategiche, scrive per Repubblica, l’Espresso, Limes, che ha trattato il tema: “i futuri multipli: quale guerra prepariamo? Guerre ambientali e nuovi scenari geopolitici.
ANTONIO MAZZEO, peace researcher, giornalista, esponente del movimento “NO MUOS”, che ha trattato il tema: “governare le guerre climatiche e nucleari attraverso i comandi satellitari e telematici del MUOS.
Nel 1966, il professor Gordon J.F. MacDonald, allora direttore associato dell’Istituto di Geofisica e Fisica Planetaria della University of California di Los Angeles aveva scritto il libro "Unless Peace Comes", (“A meno che non venga la pace”). Lo specialista in strategie di guerra ne intitolava un capitolo con una domanda piuttosto inquietante: “ COME DISTRUGGERE L’AMBIENTE? ”.
Scriveva MacDonald: "Tra i futuri mezzi per conseguire gli obiettivi nazionali con la forza, una possibilità dipende dalla capacità dell'uomo di controllare e manipolare l'ambiente del suo pianeta.
Una volta ottenuta, questo potere sull'ambiente fornirà all’uomo una nuova forza in grado di fare danni grandi e indiscriminati. La nostra comprensione attuale del cambiamento ambientale intenzionale rende difficile immaginare un mondo in cui si svolgerà la guerra geofisica”. Secondo MacDonald le armi geofisiche potevano diventare parte dell’armamento di ogni nazione e rivelarsi particolarmente adatte per guerre sotto copertura o segrete. Già negli anni 60 parlava di scioglimento o destabilizzazione delle calotte polari, tecniche di impoverimento dell’ozono, ingegnerizzazione dei terremoti, controllo delle onde oceaniche e manipolazione delle onde cerebrali attraverso l'azione sui campi energetici del pianeta.
Il ruolo che rivestiva il prof. Mac Donald era tutt'altro che insignificante: nel 1966 era consigliere del Presidente dgli Stati Uniti Lyndon B. Johnson ed in seguito diverrà membro del consiglio per il controllo tecnologico sugli armamenti.
Nel 2008 sarà il generale Fabio Mini ad affrontare apertamente la questione delle guerre del futuro e dell' obiettivo del controllo ambientale. Lo farà in un articolo pubblicato su LIMES.
Scriveva qualche anno fa il generale Mini “La guerra ambientale, in qualunque forma, è proibita dalle leggi internazionali. Le Nazioni Unite fin dal 1977 hanno approvato la convenzione contro le modifiche ambientali, il che rende ingiustificabile qualsiasi guerra proprio per i suoi effetti sull’ambiente, ma come succede a molte convenzioni, quella del 1977 è stata ignorata ed i militari hanno anzi accelerato la ricerca e l’applicazione delle tecniche di modificazione del tempo e del clima, facendole passare alla clandestinità. Se prima di quella data, l’uso delle devastazioni ambientali era chiaro e se le modifiche ambientali anche gravissime erano codificate e persino elevate al rango di sviluppo strategico o di progresso tecnologico, oggi non si sa più dove si diriga la ricerca e come si orientino le nuove armi”.
Ma cosa hanno a che fare queste autorevoli considerazioni sulla possibilità di usare l'ambiente come arma, col dibattito sull'importanza della lotta al riscaldamento globale che investe l'opinione pubblica da almeno due decenni?
Tutti ci stiamo rendendo conto della grave incidenza degli eventi atmosferici e dei mutamenti climatici, ma è la CO2 il vero responsabile di questi cambiamenti, o le responsabilità di questa situazione vanno ricercate in altri ambiti ?
Ed ancora, la questione del riscaldamento globale non si sta trasformando in un cavallo di Troia per introdurre una militarizzazione forzata dell'ambiente attraverso tecnologie di intervento sull'atmosfera e sull'ambiente?
A seguito di questi eventi atmosferici e climatici infatti, i governi ed esperti infatti stanno spingendo affinchè la lotta ai cambiamenti climatici diventi materia di sicurezza e quindi ambito gestito dai militari.
I passaggi in questa direzione sono già avvenuti e sono in via di perfezionamento. La militarizzazione completa del pianeta con la scusa di dover debellare il più grande pericolo che l’umanità dovrà affrontare, il "Global Warming Antropico", è già in atto.
La pressione sull’opinione pubblica viene attuata con ogni mezzo. Il mondo si muove verso una militarizzazione non solo dello spazio, ma di ogni ambito istaurando un sistema di sorveglianza elettronica globale.
Ecco di cosa si è parlato nella conferenza del 27 ottobre a Firenze: tre autorevoli punti di vista per una presa di coscienza delle mistificazioni sul Global Warming e delle modificazioni globali causate dalla Geoingegneria.
Enzo Pennetta ha esaminato la controversa questione del riscaldamento globale e i suoi risvolti. Il biologo ha evidenziato alcuni “trucchi mediatici”, dietro il fenomeno del “global warming antropico”, rivelando gli interessi che ne sono alla base. Teorie scientifiche controverse, diventano la giustificazione per politiche disumanizzanti e per la militarizzazione di terra e spazio.
Il generale Mini ha parlato di "guerra ambientale": mentre l’opinione pubblica considera le guerre climatiche ancora fantascienza, il Generale le descriveva già anni fa come una realtà oramai concreta. Moderne tecnologie militari sono capaci di trasformare l’ambiente in una vera e propria arma, in vista di un controllo climatico del pianeta.
Antonio Mazzeo, ha affrontato il tema riportando l'esperienza del Comitato NoMUOS, che da anni si batte contro l'installazione del MUOS in Sicilia, a Niscemi, definito l'occhio del Pentagono in Sicilia, il MUOS, un potente sistema di antenne e radar, è ritenuto dagli Stati Uniti un elemento fondamentale del sistema globale per la gestione delle guerre future e il controllo del pianeta. Il terminale terrestre di Niscemi è una delle quattro infrastrutture sparse per il mondo che assicureranno il funzionamento dell'ultima generazione della rete satellitare in UHF (altissima frequenza). Gli altri sono collocati in Virginia, nelle Isole Hawai e in Australia. Ci mancava l'Italia, naturalmente!
Tre punti di vista, tre approfondimenti per aprire insomma un dibattito su un tema cruciale per il nostro presente e futuro.
La conferenza è stata voluta fortemente da un gruppo di cittadini da qualche anno impegnati nella questione. L'intento è aprire una seria discussione su scenari tanto preoccupanti quanto concreti. Gli strumenti della guerra climatica sono in grado di destabilizzare il suolo, le correnti atmosferiche e di conseguenza l'ambiente in cui viviamo, le nostre economie e dunque le nostre vite.
Viviamo un tempo in cui un’autoproclamata èlite di scienziati invoca misure drastiche per fermare i cambiamenti climatici ed i tecnocrati promuovono un pianeta-macchina, da regolare e gestire come in un terribile videogioco….

domenica 16 settembre 2012

Don Pino Puglisi, fede e coraggio


“Imputato, dica alla Corte perché l'avete fatto”
“Quel prete prendeva i ragazzi dalla strada, ci martellava con la sua parola, ci rompeva le scatole”....

19 anni fa il prete fu ucciso dalla mafia
Don Pino Puglisi, fede e coraggio
15 settembre 1993: morte annunciata
di Pasquale Hamel

Oggi, don Pino Puglisi, avrebbe festeggiato il suo settantacinquesimo compleanno se qualcuno non avesse deciso che la sua vita andava spezzata. Ricordandolo mi sovviene un’immagine, quella del lupo e dell’agnello, dove la parte del lupo la fa il mafioso e quella dell’agnello l’umile prete di borgata armato solo dalla forza della fede. Quando penso a don Pino, sfortunatamente non ho avuto modo di conoscere, provo un certo imbarazzo per chi ne ha cercato di fare l’icona di una certa antimafia di moda, quell’antimafia gridata che troppo spesso è scivolata nell’autoreferenzialità. Don Pino, infatti, da quanto leggo e da quanto mi hanno raccontato coloro che l’hanno veramente conosciuto e frequentato, esercitava da buon prete, una pastorale diretta al recupero di quanti – vivendo in ambienti degradati ed in contesti su cui la violenza, non solo mafiosa, l’aveva fatta sempre da padrona – si erano compromessi o potevano compromettersi con il sistema mafioso.
Ma erano i giovani a cui, soprattutto, indirizzava le proprie attenzioni, cercando attraverso il magistero della parola e con l’impegno nel sociale, di sottrarli ad un futuro che appariva irrimediabilmente segnato. Un’attività pedagogica profonda che educava il giovane a condannare il mito della violenza, che lo portava a guardare con un occhio non compiacente il sistema mafioso, che arrivava a dissacrare un modo di vivere e di comportarsi al di fuori ed al di là delle regole della civile convivenza.
Quello di don Puglisi era dunque un lavoro di lungo periodo, che si manifestava devastante per il mondo della criminalità organizzata, perché dimostrava a quei giovani a rischio che gli idoli mafiosi non solo erano in realtà “dei falsi e bugiardi” di cui diffidare ma che inoltre, come si diceva un tempo, avevano i piedi d’argilla e quindi fossero tutt’altro che invulnerabili. Il messaggio che don Puglisi indirizzava al mafioso – arrogante e sicuro di se – lo metteva in discussione, perché erodeva alla radice il sistema su cui la mafia fondava il proprio potere. Esso impediva inoltre la rigenerazione della mafia. Tale messaggio, dunque, non poteva che apparire devastante perché feriva molto di più di qualsiasi azione repressiva tagliando le radici stesse di una legittimazione storicamente sedimentata e, purtroppo, socialmente riconosciuta.
Una legittimazione che era stata nobilitata anche da certa letteratura culturalista che arrivava perfino a individuare nella “Mafiosità” positive manifestazioni di orgoglio sicilianista.
I tentativi spiegati dai mafiosi locali per sottrargli quei giovani terreno fertile per il seme buono, le ripetute minacce  ricevute soprattutto negli ultimi tempi della sua breve esistenza furono il segno evidente e la chiara conferma che la sua opera aveva colto l’obiettivo, che l’azione dell’umile prete infervorato dalla parola evangelica che, alla domanda ” si, ma verso dove?”, aveva trovato una risposta chiara e aveva aperto una breccia nel recinto omertoso del sistema criminale. Si può facilmente immaginare quante notti insonni avrà fatto passare, questo profeta disarmato, a chi aveva fatto della violenza e della sopraffazione il suo stile di vita.
Si può immaginare l’ira “funesta” e i proprositi di vendetta maturati in gente che dino ad allora era considerata e si considerava indiscutibile padreterno.
Di questo furore don Pino fu sicuramente consapevole, sapeva di essere a rischio ma non per questo fermò il suo impegno. Non sorprende dunque il “me l’aspettavo” con cui accolse i suoi killer, sapeva infatti di non potere fare un passo indietro perché sarebbe stato un tradire la sua Chiesa e la sua scelta di vita.


l'uomo che sparava dritto (estratto)



Il backstage documentario su un film che ha raccontato una delle pagine peggiori della lotta alla mafia. Alla luce del sole è un film di denuncia sociale diretto da Roberto Faenza, dedicato all'omicidio di Don Pino Puglisi. Il film è riconosciuto come d'interesse culturale nazionale dalla Direzione Generale per il Cinema del Ministero per i Beni e le Attività Culturali italiano. [ guarda il video... ]




























 Altri ragazzi di Brancaccio: Ficarra e Picone


Sanremo 2007 – Ficarra e Picone ricordano a modo loro un grande uomo: don Pino Puglisi.
Sembra strano, ma in Italia da alcuni anni sono i comici che offrono i migliori spunti di riflessione. Ficarra e Picone ci fanno conoscere un persona, un prete, di altissimo livello sia morale che civile: don Puglisi. Un uomo che si è donato nell’amore e che è morto martire proprio perché amava troppo il prossimo. [guarda il video... ]

ed oggi?
Don Pino Puglisi verrà proclamato beato il prossimo 25 maggio. Ad annunciare la data della beatificazione del prete di Brancaccio ucciso dalla mafia è stato il Cardinale Paolo Romeo al termine della celebrazione eucaristica in memoria di Padre Puglisi. L’annuncio dell’arcivescovo di Palermo arriva a quasi tre mesi di distanza dal decreto papale di riconoscimento del martirio “in odium fidei”, atto che ha sostanzialmente dato il via libera alla beatificazione del prete palermitano. La celebrazione con cui don Pino Puglisi verrà proclamato beato si terrà a Palermo e non a Roma, come avveniva con Giovanni Paolo II. Papa Benedetto XVI con uno dei suoi primi atti da pontefice ha infatti stabilito che le cerimonie di beatificazione si tengano nelle diocesi e vengano presiedute presiedute da un suo rappresentante, che di norma è il prefetto della Congregazione delle cause dei santi. La macchina organizzativa della diocesi palermitana, già rodata dall’ultima visita papale, dovrà così mettersi da subito in moto per organizzare questo grande evento che con ogni probabilità vedrà la partecipazione di tutte le chiese siciliane. La causa per il riconoscimento del martirio di don Pino Puglisi era stata iniziata a livello diocesano nel 1998, a cinque anni dal delitto, per volere del cardinale Salvatore De Giorgi, allora arcivescovo di Palermo. Don Mario Torcivia che ha redatto la Positio presentata in Vaticano nel 2006 per la discussione dei teologi della Congregazione delle cause dei santi così spiegò il martirio del prete palermitano: “Don Pino non è stato ucciso solo per l’amore per Cristo, la testimonianza presbiterale resa nella parrocchia di Brancaccio, lo stretto legame instaurato tra evangelizzazione e promozione umana, l’affermazione della radicalità dei valori evangelici e della coerenza tra annuncio evangelico e testimonianza di vita, la donazione totale della vita per il Signore e i fratelli, l’impegno di educatore delle coscienze, specie quelle delle giovani generazioni, la franchezza nel dire la verità, l’attività di promozione sociale, la “provocazione” allo stile malavitoso del quartiere Brancaccio, il deciso impegno per la dignità e la promozione dell’uomo, ma è stato ucciso dall’organizzazione criminale mafiosa “in odium fidei” anche per due motivi alti: Primo perché, uccidendo don Puglisi, la mafia ha voluto colpire l’intera Chiesa italiana. Secondo, motivo più profondo, perché la mafia in quanto forma di ateismo pratico, nonostante la parvenza religiosa, è e si mostra avversa alla fede cristiana”.

martedì 10 luglio 2012

La fabbrica dei profumi

Sabato 10 luglio 1976, è passato da poco mezzogiorno, il “reattore b” dell’ICMESA, azienda chimica alle porte di Milano, smette di funzionare, dalla “fabbrica dei profumi”, come la chiamava la gente del posto, si leva una grande nube nera. Non si tratta di uno dei tanti nembi che preludono ad un temporale estivo, questa nube è carica di veleno: la diossina, che il vento spinge verso Sud, coprendo Seveso ed altre tre cittadine della Brianza: Desio, Meda e Cesano Maderno. La fabbrica, che lavora per una multinazionale svizzera ufficialmente produce profumi e disinfettanti ospedalieri. A Seveso è subito allarme: decine di animali morti, ustioni sulla pelle: il viso di decine di persone, in gran parte bambini, viene deturpato dalla Cloracne, negli anni successivi numerosi saranno gli aborti spontanei ed i tumori, oltre 730 abitanti vengono fatti sfollare, le foglie degli alberi cominciano ad ammalarsi ed appassire; tutta la zona viene evacuata, perché anche le case risultano contaminate…. ma solo 2 settimane dopo l’incidente. Da subito la dirigenza della fabbrica cerca di minimizzare l’accaduto, ma il sindacato intuisce immediatamente la gravità dell’accaduto e si mobilita…. ci si comincia a chiedere come sia potuto accadere e perché ed ancora, se sia vero che, come asseriscono voci incontrollate, la reale produzione dell’ICMESA abbia a che fare con la produzione di armi chimiche. Le autorità rassicurano, minimizzano o si trincerano sotto il più stretto riserbo… silenzi inquietanti in un clima di massima confusione ed incertezza, le notizie filtrano a fatica, si contraddicono.
Il “tricloro-fenolo” prodotto dall’ICMESA, si scoprirà poi, finiva negli Stati Uniti, dove veniva trasformato nel micidiale defoliante “tetraclorodibenzo-p-diossina” tristemente noto come “agente orange” che venne sparso su oltre 3 milioni e mezzo di ettari di terra in Vietnam, distruggendo tutto: lo scopo era far terra bruciata della foresta; spogliarla, perché potesse rivelare i nascondigli dei vietcong lungo la linea demilitarizzata o nei meandri del sentiero di Ho Chi Minh che portava rifornimenti dal Nord, ma la diossina penetrando nel suolo, contamina l'acqua e si incista nella catena alimentare. La TCDD è una sostanza altamente tossica in grado di provocare danni gravissimi alla pelle, al cuore, ai reni, al fegato, allo stomaco e al sistema linfatico. Provoca la malformazione dei feti umani, con nascite di bambini mutilati, gravemente deformi o morti. Oggi sappiamo che purtroppo non si può rallentare il processo di diffusione della TCDD nell'aria, nell'acqua e nelle catene alimentari; in caso di incidente industriale o in caso di dispersione nell'ambiente la sostanza penetra nel terreno e tutti gli esseri viventi (piante, animali, uomo) ne vengono contaminati anche a distanza di anni. Gli effetti sono dunque, quasi sempre, irreversibili. Gli interrogativi su Seveso, il più grande disastro ambientale che si sia verificato nel nostro paese dal dopoguerra, a distanza di tanti anni rimangono pesanti e senza risposta. La fabbrica di Seveso in seguito verrà demolita, l’area su cui sorgeva bonificata; i danni subiti dalla popolazione sono stati enormi…. Tutto questo all’interno di una storia tipicamente italiana, conclusasi con lievi condanne finali; una storia che però ha prodotto nuove sensibilità in tema di rischi ambientali e che ha costretto ad un ripensamento profondo al rapporto tra fabbrica ed ambiente.
 Canzone per Seveso – Antonello Venditti
(video di Benedetto Randazzo)

sabato 7 luglio 2012

Per i morti di Reggio Emilia

Reggio Emilia 7 luglio 1960 - «Il cielo era diventato improvvisamente di piombo, una cappa opprimente calò all’improvviso sulla città. Mentre lasciavamo la piazza, a occidente si stagliarono lingue rosse di fuoco…».
Il ricordo di un tramonto è la prima immagine che viene in mente a un testimone-protagonista di quel 7 luglio. Le mani che quel giorno fremevano mentre lanciavano sassi in risposta ai proiettili della polizia di Tambroni. Le mani ferme di chirurgo che cercavano di strappare alla morte i feriti. Le mani di un giovane cronista che tremavano al momento di scattare la foto del corpo senza vita di uno dei «Morti di Reggio Emilia». Le mani che tremano, sono quelle di un giovane cronista, oggi storico della Resistenza, Antonio Zambonelli, all’epoca studente universitario e maestro elementare…

Il giugno-luglio 1960 è segnato da una gravissima crisi politica: Fernando Tambroni, democristiano, forma un governo monocolore con i voti determinanti del MSI.
A Genova, Medaglia d'Oro della Resistenza, il MSI vorrebbe tenere il proprio congresso ai primi di luglio, ma un'imponente reazione popolare lo impedisce; la polizia interviene duramente e negli incidenti rimangono feriti 83 manifestanti. 
La mobilitazione antifascista si diffonde in altre città e il governo sceglie la linea dura per reprimere il dilagare delle manifestazioni di piazza.
Il 6 luglio 1960 a Roma, a Porta San Paolo, la polizia attacca un corteo antifascista, ferendo alcuni deputati socialisti e comunisti; ma i fatti più gravi accadono a Reggio Emilia, dove il 7 luglio 1960, nel corso di una manifestazione sindacale, cinque operai di Reggio Emilia, tutti iscritti al PCI, sono uccisi dalle forze dell'ordine.
I loro nomi, immortalati dalla celebre canzone di Fausto Amodei “Per i morti di Reggio Emilia”: Lauro Farioli, Ovidio Franchi, Emilio Reverberi, Marino Serri, Afro Tondelli.
I morti di Reggio Emilia sono l'apice - non la conclusione - di due settimane di scontri con la polizia, alla quale il capo del governo Tambroni ha dato libertà di aprire il fuoco in "situazioni di emergenza": alla fine si conteranno undici morti e centinaia di feriti.
Questi morti costringeranno alle dimissioni il governo Tambroni, monocolore democristiano con il determinante appoggio esterno dei fascisti del M.S.I. e dei monarchici, e apriranno la strada ai futuri governi di centro-sinistra. Ma soprattutto contrassegneranno in modo repentino un radicale mutamento di clima politico nel paese: l'avvento della generazione dei "ragazzi con le magliette a righe".
Sino a quel momento i giovani erano considerati come spoliticizzati, distanti dalla generazione dei partigiani e orientati al mito delle "tre M" (macchina, moglie, mestiere): la giovane età di tre delle cinque vittime testimonia invece la presa di coscienza, in forme ancor più radicali della generazione che aveva resistito negli anni Cinquanta, di un nuovo proletariato giovanile. Di questo mutamento di clima - dalla disperata tristezza per il revanchismo fascista alla rinascita della speranza dopo i fatti di luglio - sono testimonianza la poesia di Pasolini La croce uncinata [leggi..]
 

Eco MUOStro a Niscemi


“ Eco MUOStro a Niscemi ”

 

Famelico e insaziabile, il Dio di tutte le guerre ha partorito un nuovo Mostro. Per annientare il pianeta dallo spazio ed eclissare i Soli e le Lune. Si nutrirà del sangue di ogni essere vivente. Muterà il Dna delle specie e degli habitat. Trasformerà i ghiacciai in deserti, i laghi in paludi, gli oceani in melma. Fiumi e torrenti di fuoco, piogge di ceneri, uragani di polveri e fumo. Il quinto Cavaliere dell’Apocalisse. Vestale dell’Olocausto. Elogio della Follia e della Morte.Il padre Marte ha battezzato il figlio MUOS, Mobile User Objective System, perché fosse chiara a tutti la sua natura infernale. Una rete di mega-antenne e satelliti per telecomunicazioni veloci come la luce perché sull’infinito domini l’oscurità. L’arma perfetta per i conflitti del XXI secolo, quelli con i missili all’uranio impoverito, gli aerei senza pilota e le armi atomiche in miniatura.
È a Niscemi, nel cuore di un’importante riserva naturale, che fervono i preparativi per l’installazione di uno dei suoi quattro terminali terrestri mondiali. Un’opera benedetta dai Signori del Pentagono, dal governo italiano e dalla Regione Siciliana. E a cui non fa mancare il suo contributo la borghesia mafiosa isolana. Per il MUOStro di Niscemi sembrava cosa fatta, ma centinaia di giovani ci hanno messo lo zampino…
Eco MUOStro a Niscemi è il libretto di controinformazione di Antonio Mazzeo pubblicato di recente, consulta uno dei seguenti siti:

http://orsatti63ebook.altervista.com - http://orsatti63.tumblr.com

oppure ricercalo direttamente sulle piattaforme di distribuzione www.amazon.com - www.lulu.com
Antonio Mazzeo, peace-researcher e giornalista, ha realizzato numerose inchieste sui processi di riarmo e militarizzazione in Italia e nel Mediterraneo. Nel 2010, per Alegre Edizioni (Roma), ha pubblicato il volume I Padrini del Ponte. Affari di mafia nello Stretto di Messina. Nel 2010 ha conseguito il Primo premio «Giorgio Bassani» di Italia Nostra per il giornalismo. È membro della Campagna per la smilitarizzazione di Sigonella e della Rete No Ponte. Per consultare articoli e pubblicazioni:

sabato 16 giugno 2012

Trattativa Stato – mafia: chiusa l’indagine


20 anni, questo è il tempo trascorso da quando la mafia ha alzato il tiro in modo deciso e cruento contro lo Stato, lo stesso Stato che non esitò un attimo ad identificare e rinchiudere per sempre in carcere tutti i mandanti, fiancheggiatori ed esecutori di stragi che non hanno precedenti nel mondo occidentale….
Se fosse andata così, a 20 anni di distanza questa storia sarebbe raccontata nei libri di storia come un capitolo da evidenziare insieme a quelli che testimoniano la forza positiva e volontà decisiva dei popoli di riscattarsi, di liberarsi dalle barbarie, dalle oppressioni: le lotte partigiane, le rivoluzioni, i movimenti rivoluzionari non violenti per la pace, contro il colonialismo, contro il razzismo…
Questa volta non è andata così, quella che si racconterà è una storia vergognosa di mascalzoni prezzolati ancorchè uomini dello Stato, che hanno cercato ed intavolato trattative con un branco di assassini.
Mettetela come vi pare ma alla chiusura di 4 anni di indagini, la magistratura inquirente di Palermo ha individuato 12 persone che sarebbero responsabili di questo crimine, fra cui uomini delle istituzioni:
Calogero Mannino: parlamentare, Deputato dal 1979 al 1992, ex sottosegretario al Tesoro, ex Ministro della Repubblica in ben 6 Governi;
Nicola Mancino: già vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura, già ministro dell'Interno e presidente del Senato, 2 volte presidente della Giunta Regionale Campana;
Marcello Dell’Utri: attualmente Senatore della Repubblica, stretto collaboratore di Silvio Berlusconi sin dagli anni settanta, socio in Publitalia '80 e dirigente Fininvest; nel 1993 fondò con lui Forza Italia. Il 29 giugno 2010 è stato condannato presso la Corte d'appello di Palermo a sette anni di carcere per concorso esterno in associazione mafiosa; ha patteggiato una pena di due anni e tre mesi per frode fiscale.
Antonio Subranni: Generale dei Carabinieri, è stato comandante del ROS dei Carabinieri dal 1990 al 1993, nominato maggiore nel 1978, divenne comandante del Reparto operativo del comando provinciale di Palermo. Per questo indagò (depistando le indagini), sulla morte di Peppino Impastato, che indirizzò verso l'ipotesi terroristica, invece che mafiosa. Da colonnello comanda poi il gruppo provinciale di Palermo. Nominato generale, nel dicembre 1990 divenne il primo comandante del Raggruppamento Operativo Speciale (Ros) dell'Arma, appena costituito con i 27 nuclei anticrimine territoriali dei CC. Gli uomini del ROS, sotto il suo comando, catturarono Totò Riina guidati dal capitano Ultimo, omettendo di perquisire nell’immediatezza la sua abitazione-covo a Palermo. Agnese Borsellino, moglie del giudice Paolo Borsellino, rivela che il marito poco prima di essere ucciso le disse: "Ho visto la mafia in diretta, perché mi hanno detto che il generale Subranni era punciutu" (affiliato alla mafia), ma il generale si è dichiarato estraneo alle accuse e il gip di Caltanissetta nel maggio 2012 ha archiviato il procedimento. Nel 1994 è nominato generale di divisione e va in congedo con il massimo grado: generale di Corpo d'Armata.
Mario Mori: generale dei Carabinieri, è stato comandante del ROS dei Carabinieri e direttore del SISDE (il servizio segreto italiano). Mori è stato rinviato a giudizio dalla procura di Palermo insieme a Sergio De Caprio, entrambi furono poi prosciolti dall'accusa di favoreggiamento nei confronti di “cosa nostra”. L'indagine era stata avviata dalla procura per accertare gli eventi che avevano portato alla ritardata perquisizione del "covo" di Totò Riina. Solo 18 giorni dopo si scoprì che i Carabinieri all’insaputa della Procura avevano omesso di presidiare il sito: Nel frattempo il "covo" era stato ormai abbandonato dalla famiglia di Riina e completamente svuotato.
Giuseppe De Donno generale dei Carabinieri che insieme a Subranni e Mori, dopo avere avviato i contatti con don Vito Ciancimino (ex sindaco di Palermo), avrebbe favorito “lo sviluppo della trattativa fra lo Stato e la mafia, attraverso reciproche parziali rinunce”. Da una parte cosa nostra con “la rinuncia alla prosecuzione della strategia stragista”, dall'altra i rappresentanti delle Istituzioni con “la rinuncia all’esercizio dei poteri repressivi dello Stato”.
I REATI:
Ai capimafia indagati i pm contestano il reato di violenza o minaccia a Corpo politico dello Stato. Stessa accusa viene fatta a Calogero Mannino, già processato e assolto con sentenza definitiva dal reato di concorso in associazione mafiosa e al senatore Dell'Utri.
Di violenza o minaccia a Corpo politico dello Stato rispondono anche l'ex capo del Ros Antonio Subranni, il suo vice dell'epoca Mario Mori e l'allora capitano Giuseppe De Donno. "Hanno agito per turbare la regolare attività dei corpi politici dello Stato - si legge nell'atto d'accusa -. Hanno agito in concorso con l'allora capo della Polizia Parisi e il vice direttore del Dap Di Maggio, deceduti".
Per Massimo Ciancimino, invece, il reato contestato è il concorso in associazione mafiosa e di calunnia aggravata nei confronti dell'ex capo della Polizia, Gianni De Gennaro. Nicola Mancino, nel '92 al dicastero dell'Interno, risponde di falsa testimonianza. Nell'indagine sono finiti anche l'ex ministro della Giustizia Giovanni Conso, l'ex capo del Dap Adalberto Capriotti e l'europarlamentare dell'Udc Giuseppe Gargani: per loro l'accusa è di false informazioni al pubblico ministero ma l'avviso di conclusione indagini non è stato notificato. La legge prevede che l'inchiesta, in questo caso, sia bloccata fino alla definizione in primo grado del processo principale, quello, appunto, sulla trattativa.

Tutto è bene quel che finisce bene? Forse.
L'avviso conclusivo delle indagini non e' stato firmato né dal procuratore capo, Francesco Messineo, né dal sostituto Paolo Guido. Il primo ha affermato che la sua firma “non è obbligatoria”, il secondo semplicemente ha espresso un “dissenso rispetto alla linea portata avanti dal procuratore aggiunto Antonio Ingroia.....”
Di certo le dichiarazioni di Ingroia sono intrise di una verità che fa accapponare la pelle: 
 “… fa ancora più impressione sapere che mentre i mafiosi uccidevano e seminavano morte e terrore con le bombe, c'era qualcuno dello Stato che trattava la tregua dietro le quinte". “La mafia - ha proseguito il magistrato - contrariamente ai cliché e ai luoghi comuni, che la intendono come antistato, non è antistato, ma ha una relazione organica e stabile con gli apparati, con le classi dirigenti del nostro Paese, locali e nazionali, e quindi in questo ambito, l'alternarsi di momenti di guerra e momenti di pace sono in realtà una sorta di braccio di ferro interno al blocco e al sistema di potere che ha governato il nostro Paese in senso economico, sociale e politico".
"La verità è che tutta la storia del confronto fra mafia e Stato non è una storia di guerra, ma di tregue e trattative. Lo Stato italiano, soltanto in brevi periodi e brevi parentesi in cui si sono create emergenze nazionali ed emozioni collettive all'indomani della stragi, ha creato una legislazione forte ed efficace. Ma erano semplicemente delle norme tampone - ha concluso Ingroia - mentre dietro le quinte già ci si dava da fare per stipulare una nuova tregua, un nuovo patto di connivenza"….