martedì 19 marzo 2024

Don Peppe Diana

 

Don Peppe Diana
LA MEMORIA DEL BENE PER RESISTERE AL MALE
 

Il 19 marzo 1994 veniva assassinato dalla camorra il sacerdote Giuseppe Diana.
Un Sacerdote innamorato di Cristo e del Vangelo, che si prende cura del popolo che gli è affidato, fino a diventare voce dei senza voce....

Don Peppe, nel suo percorso terreno faceva da educatore oltre che da «pastore di anime»; si è battuto contro la criminalità organizzata della sua città, nel periodo in cui imperversano in Campania i casalesi, camorristi legati al boss Francesco Schiavone (detto “Sandokan”), infiltrati negli enti locali e nell’imprenditoria. Contro questo stato di cose, il Sacerdote scrisse una lettera, intitolata "Per amore del mio popolo", diffusa nel giorno di Natale del 1991 in tutte le Chiese della sua diocesi. Lo scritto, un manifesto a sostegno dell’impegno contro la camorra, è definita in esso come una "forma di terrorismo, che attraverso la paura impone le proprie inaccettabili leggi e clima di inaudita violenza."

Giuseppe, però, paga purtroppo il suo coraggioso gesto con la vita: la mattina del 19 marzo 1994, un assassino lo raggiunge, mentre si prepara a celebrare messa, nella sagrestia della sua Chiesa ed esplode quattro colpi di pistola, mettendo a segno una vera e propria esecuzione camorristica.

Dopo un processo funestato da depistaggi e dal tentativo di infangare la memoria del Parroco, sono stati condannati all’ergastolo Nunzio De Falco, Mario Santoro e Francesco Piacenti, mentre Giuseppe Quadrano, autore materiale dell’assassinio, che in seguito all’essersi consegnato alla polizia ed all’avere  iniziato a collaborare con la giustizia, è stato condannato a 14 anni di reclusione.

L'appello di Don Diana: "Per amore del mio popolo..."

“A me non importa sapere chi è Dio. Mi importa sapere da che parte sta”. Parole provocatorie quelle di Don Peppe Diana, pronunciate durante un funerale, uno dei tanti, troppi, che doveva celebrare in quella terra insanguinata dalla violenza camorrista.

lunedì 4 marzo 2024

Giuseppe Muscarella

GIUSEPPE MUSCARELLA



4 Marzo 1976, a Mezzojuso (Palermo), è stato ucciso il Sindacalista Dirigente " dell'Alleanza dei coltivatori", GIUSEPPE MUSCARELLA, che si scontrava con la mafia organizzando i contadini poveri ed i piccoli allevatori della zona.

Contadino e allevatore di pollame e maiali, aveva in affitto un terreno, mentre la moglie, Giuseppina Gattuso, gestiva un piccolo negozio di alimentari. Padre di quattro figli, si batteva a fianco dei contadini sfruttati dalla mafia. Nel 1974 ruppe con la Coldiretti, creando l'Alleanza coltivatori con circa ottanta contadini e piccoli allevatori e, con 26 di loro, anche una cooperativa.

Cominciò a ricevere minacce e subire intimidazioni nel momento in cui promosse l'acquisto collettivo dei fertilizzanti, riuscendo a portare il prezzo a 10.800 lire al quintale contro le 18mila lire imposte dal cartello monopolista controllato da Cosa Nostra.

La sera del 4 marzo fu vigliaccamente ucciso con due colpi di fucile alle spalle, mentre rientrava a casa con la sua cavalla, che venne impiccata.

Gli uomini valorosi come Muscarella che si sono opposti con coraggio ai poteri criminali a costo della vita sono stati numerosi e spesso dimenticati.

Quella della lotta dei contadini e degli allevatori in Sicilia, per il diritto negato alla terra dove lavorare e faticare per vivere dignitosamente del proprio sudore, in Sicilia purtroppo è storia antica. L'odierna condizione di abbandono e di sottosviluppo, vanno fatti risalire sicuramente all'Italia post-unitaria e a quel Grande movimento contadino che era "Il Movimento dei Fasci Siciliani" (nulla a che vedere col fascismo). Le lotte contro il latifondismo di una Nobiltà in decadenza che si era ritirata nei palazzi, salotti cittadini, lasciando le proprietà in mano ad una borghesia rampante "i gabelloti", che difendevano il feudo, molto spesso incolto, dalla ribellione e dalle occupazioni dei contadini allo stremo, ricorrendo per la repressione, all'uso della violenza, della forza e delle armi dei "Campieri" : i progenitori dei mafiosi, assoldati ed armati da Nobili e Gabelloti. Una pagina di storia della mia terra che sicuramente merita di essere "rispolverata".

È fondamentale ricordare nelle aule scolastiche le tante tragiche storie di uomini e donne semplici e straordinari che con il loro esempio ci tramandano i valori della cittadinanza responsabile.

  - Bibliografia: "Storia del movimento antimafia, dalla lotta di classe all'impegno civile" di Umberto Santino.








giovedì 29 febbraio 2024

Noi a scuola facciamo così...

NOI A SCUOLA FACCIAMO COSI'...


Dopo i fatti di Pisa questo Comunicato/Lettera è stato scritto da un gruppo di docenti del "Liceo Classico Vittorio Emanuele II° di Palermo alle Istituzioni ed a tutti i cittadini che vorranno condividerla.

 

Noi a scuola facciamo così:

Noi a scuola insegniamo l’educazione civica.

Noi a scuola insegniamo il rispetto delle leggi.

Noi a scuola insegniamo i valori della Costituzione Repubblicana.

Noi a scuola insegniamo il rispetto dell’altro.

Noi a scuola insegniamo la libertà di espressione.

Noi a scuola insegniamo il valore dell’argomentazione a sostegno della propria opinione.

Noi a scuola insegniamo il valore della parola contro l’esercizio della forza fisica.

Noi a scuola insegniamo il valore della parola non ostile.

Noi a scuola insegniamo la storia greca e la storia romana.

Noi a scuola insegniamo che in Grecia e a Roma esistevano spazi pubblici come l’agorà e il foro a cui nessuno poteva sognarsi di interdire l’accesso a nessuno, e che nessun cittadino poteva usare violenza fisica contro un altro cittadino, e che quando questo accadeva (perché è anche accaduto) sono stati i periodi più bui della storia della Grecia e di Roma: si chiamava guerra civile.

Noi a scuola insegniamo la storia delle rivoluzioni.

Noi a scuola insegniamo la storia della democrazia.

Noi a scuola insegniamo la storia delle lotte per i diritti.

Noi a scuola insegniamo la dichiarazione dei diritti dell’uomo.

Noi a scuola insegniamo l’habeas corpus.

Noi a scuola insegniamo che la legge non può prevaricare sulla dignità della persona e non può mettere in pericolo l’incolumità fisica dell’individuo.

Noi a scuola insegniamo che l’odio è una cosa brutta.

Noi a scuola insegniamo che la violenza è una cosa brutta.

Noi a scuola insegniamo la lotta alla violenza in tutte le sue forme: bullismo e cyberbullismo, femminicidio, mafia, guerra.

Noi a scuola insegniamo la cittadinanza.

Noi a scuola insegniamo che la cittadinanza è partecipazione.

Noi a scuola insegniamo la legalità.

Noi a scuola insegniamo la pace.

Noi a scuola insegniamo il valore della diplomazia per risolvere i conflitti internazionali.Noi a scuola insegniamo il valore della nonviolenza e del dialogo per risolvere tutti i conflitti.Le ragazze e i ragazzi di Pisa e di Firenze hanno dimostrato di aver imparato quello che da decenni di storia repubblicana noi gli insegniamo a scuola. E ieri ci hanno restituito la lezione.Le ragazze e i ragazzi di Pisa e di Firenze per questo ieri sono stati caricati, umiliati, terrorizzati, picchiati a sangue.Forse è questo che si intende per educazione ai sentimenti e all’affettività?

Diteci dove abbiamo sbagliato.


Pisa, Piazza dei Cavalieri



 

sabato 10 febbraio 2024

Il giorno del Ricordo

 

Il Giorno del Ricordo

Data commemorativa istituita nel 2004 in omaggio alle vittime delle violenze (molti gettati nelle foibe) sul confine orientale alla fine della guerra e ai profughi dall’Istria e dalla Dalmazia. Ricordare significa innanzitutto conoscere, capire. È questo il modo migliore per onorare le vittime, tutte, da una parte e dall’altra, di una guerra ingiusta. Il ricordo dei nostri caduti, dei nostri deportati nel Terzo Reich, delle vittime delle violenze jugoslave deve necessariamente essere affiancato dalla ferma condanna delle responsabilità storiche dell’imperialismo fascista.

L’occupazione italiana è fatta di chiaroscuri: episodi di solidarietà, di aiuto alle popolazioni, con la difesa dei civili serbi dalle stragi commesse dai fascisti croati ustascia; ma anche crimini terribili, ordinati con cinismo da generali senza scrupoli, come la cattura di ostaggi, le fucilazioni dei sospetti, la distruzione di interi villaggi.

E infine le deportazioni: centomila persone internate in Lager che non sono campi di sterminio (non hanno camere a gas o forni crematori) ma hanno portato alla morte per inedia migliaia di persone.

C’è bisogno che questa conoscenza, questo riconoscimento, diventi memoria pubblica, senso comune. Ma serve l’impegno di tutti: degli studiosi, dei divulgatori, delle istituzioni.

Sono passati tanti anni. È tempo di affrontare consapevolmente questa pagina di storia senza retorica, senza paura, senza tabù; con la serenità del vecchio reduce che non ha niente da nascondere, niente da temere.


 

... a chi il 10 Febbraio urla: "e allora le foibe?"

 

A chi il 10 febbraio urla “...e allora le foibe?”

Non bisogna rispondere semplicemente tirando fuori numeri. Ristabilire la verità storica, certo, significa anche questo. Ma l’idea di combattere un’operazione di revisione della storia che mira ad equiparare la Resistenza ai crimini fascisti a colpi di numeri e fonti storiche, finisce inevitabilmente per porsi proprio sul terreno dell’equiparazione, rischiando di scivolare nella stessa logica che si vuole combattere.

Parlare del numero dei morti è sempre un’operazione delicata, e prima o poi si finisce sempre a dire che, al di là del numero, i morti sono tutti uguali. Una posizione comoda e certo diffusa. Certo, è semplice affermare che “i morti sono tutti uguali”, una volta che sono già morti.

Ma a volte, se si vuole essere davvero obiettivi, bisognerebbe anche chiedersi cos’hanno fatto in vita, prima di morire. Vittime e carnefici restano tali anche dopo essere morti e negare questo in nome di una “memoria” costruita ad hoc dai neofascisti (e accolta negli ultimi anni anche dalla sinistra), significa negare la storia. Come ha detto Alessandra Kersevan, storica del confine orientale: «Commemorare i morti nelle foibe significa sostanzialmente commemorare rastrellatori fascisti e collaborazionisti del nazismo. Per gli altri morti, quelli vittime di rese dei conti o vendette personali, c’è il 2 novembre».