martedì 8 dicembre 2020

Come la manna dal cielo

 

Come la manna dal cielo…. anzi no, dal frassino !


Una storia legata indissolubilmente alla mia terra:
la Sicilia. Ora
che di anni ne ho tanti, di cui tuttavia solo metà, trascorsi nella mia terra natìa, a volte mi scopro a ricordare episodi, racconti di esperienze e di vite vissute, narrati da persone care, quasi a voler testimoniare un mondo che, ahimè non esisteva più, già allora.
Oggi nel ripercorrere quei ricordi lontani nel tempo, provo quasi un senso di dolcezza, come per l’episodio che racconto.
Avevo circa 10 anni ed un piede che come misura “prometteva bene”, portavo già il 40 !
Scherzosamente mio padre: “eh, se continui così da grande come scarpe ti ci vorranno le scatole di manna…”, intuivo il senso, ma non il significato delle parole, così incuriosito chiesi lumi: fu allora che appresi dal racconto dei suoi ricordi da ragazzo, di un mondo che già allora (primi anni ’70), da tempo non esisteva più: una civiltà contadina che viveva dei frutti della terra, coltivata con sudore e fatica…
Da Pozzillo, (località di Cinisi - PA), mi indicò la costa verdeggiante, lato Nord, di Monte Pecoraro, sormontata dalla roccia dolomitica, tagliata fino alla sommità dalla “scala di lu bannutu”, e lui: - “vedi, quello è “voscu tagghiatu (bosco tagliato), li crescono i frassini, da cui un tempo si ricavava la manna… che si vendeva in scatole che sembravano delle grosse scarpe”,  ed io: - “Frassini? Manna?”
Lui: “Eh…, cose d’altri tempi. Tempi di miseria e di lavoro duro, pensa che da ragazzo, prima di arruolarmi (1), con l’asino andavo su e giù per i viottoli di quella pendice per raccogliere la manna, le fascine di sommacco (2) , le carrube e le mandorle, ma vieni, ti faccio vedere…”.

Prese un attrezzo nella stalla, e mi disse: “chistu è u cuteddu mannaloru(3), lo affilò con fare sicuro, nel sasso piatto che stava sull’orlo della “gebbia” (4) e ci avviammo.
Scavalcammo un muretto di pietre a secco e di là, oltre le piante di fico d'india, quello che fino ad allora per me era solo un albero.
Scelse una pala di fico d'india concava, la staccò e la ripulì dalle spine con un coltellino per innesti, liberò il tronco del frassino dall’edera, posizionò la pala di fico d'india al piede dell’albero e con fare sicuro praticò una tacca non profonda sul tronco. “Ecco, ogni giorno si fa questa operazione, uscirà un liquido che gocciolando lungo il tronco, si raccoglierà nella pala concava e si solidificherà con il calore del sole, diventando bianco e dolce, quella è la manna”.
Ripetemmo l’operazione della “ntaccatura” per diversi giorni e finalmente anche il nostro palato poté assaporare la dolcissima manna, insieme alle formiche che dovettero trascorrere una “dolce” estate…

 Note:

  1. Vito Randazzo, si arruolò nell’Arma dei Carabinieri nel 1936.
  2. Il “Sommacco” è un arbusto deciduo, che può raggiungere altezze fino a 3 metri. Ha foglie pennate, lunghe 10-20 centimetri, con bordo seghettato. I fiori, di colore giallo-verdastro, sono riuniti in pannocchie. Fiorisce in maggio-agosto. I frutti, sono drupe di colore rosso-bruno; sono velenosi se consumati freschi. Un tempo dalla corteccia e dalle foglie della pianta si estraevano i tannini impiegati in tintoria e nel processo di concia delle pelli.
  3. un particolare coltello (foto) necessario per incidere il tronco, nell’estrazione tradizionale;
  4.  la "gebbia" è la vasca o il recipiente atto a contenere l'acqua utilizzata per l'irrigazione nei mesi caldi. Arrivò in Sicilia intorno al 1000 durante la fase dell'Emirato di Sicilia.  (il nome deriverebbe infatti da djeb - "cisterna per la raccolta delle acque").