giovedì 29 febbraio 2024

Noi a scuola facciamo così...

NOI A SCUOLA FACCIAMO COSI'...


Dopo i fatti di Pisa questo Comunicato/Lettera è stato scritto da un gruppo di docenti del "Liceo Classico Vittorio Emanuele II° di Palermo alle Istituzioni ed a tutti i cittadini che vorranno condividerla.

 

Noi a scuola facciamo così:

Noi a scuola insegniamo l’educazione civica.

Noi a scuola insegniamo il rispetto delle leggi.

Noi a scuola insegniamo i valori della Costituzione Repubblicana.

Noi a scuola insegniamo il rispetto dell’altro.

Noi a scuola insegniamo la libertà di espressione.

Noi a scuola insegniamo il valore dell’argomentazione a sostegno della propria opinione.

Noi a scuola insegniamo il valore della parola contro l’esercizio della forza fisica.

Noi a scuola insegniamo il valore della parola non ostile.

Noi a scuola insegniamo la storia greca e la storia romana.

Noi a scuola insegniamo che in Grecia e a Roma esistevano spazi pubblici come l’agorà e il foro a cui nessuno poteva sognarsi di interdire l’accesso a nessuno, e che nessun cittadino poteva usare violenza fisica contro un altro cittadino, e che quando questo accadeva (perché è anche accaduto) sono stati i periodi più bui della storia della Grecia e di Roma: si chiamava guerra civile.

Noi a scuola insegniamo la storia delle rivoluzioni.

Noi a scuola insegniamo la storia della democrazia.

Noi a scuola insegniamo la storia delle lotte per i diritti.

Noi a scuola insegniamo la dichiarazione dei diritti dell’uomo.

Noi a scuola insegniamo l’habeas corpus.

Noi a scuola insegniamo che la legge non può prevaricare sulla dignità della persona e non può mettere in pericolo l’incolumità fisica dell’individuo.

Noi a scuola insegniamo che l’odio è una cosa brutta.

Noi a scuola insegniamo che la violenza è una cosa brutta.

Noi a scuola insegniamo la lotta alla violenza in tutte le sue forme: bullismo e cyberbullismo, femminicidio, mafia, guerra.

Noi a scuola insegniamo la cittadinanza.

Noi a scuola insegniamo che la cittadinanza è partecipazione.

Noi a scuola insegniamo la legalità.

Noi a scuola insegniamo la pace.

Noi a scuola insegniamo il valore della diplomazia per risolvere i conflitti internazionali.Noi a scuola insegniamo il valore della nonviolenza e del dialogo per risolvere tutti i conflitti.Le ragazze e i ragazzi di Pisa e di Firenze hanno dimostrato di aver imparato quello che da decenni di storia repubblicana noi gli insegniamo a scuola. E ieri ci hanno restituito la lezione.Le ragazze e i ragazzi di Pisa e di Firenze per questo ieri sono stati caricati, umiliati, terrorizzati, picchiati a sangue.Forse è questo che si intende per educazione ai sentimenti e all’affettività?

Diteci dove abbiamo sbagliato.


Pisa, Piazza dei Cavalieri



 

sabato 10 febbraio 2024

Il giorno del Ricordo

 

Il Giorno del Ricordo

Data commemorativa istituita nel 2004 in omaggio alle vittime delle violenze (molti gettati nelle foibe) sul confine orientale alla fine della guerra e ai profughi dall’Istria e dalla Dalmazia. Ricordare significa innanzitutto conoscere, capire. È questo il modo migliore per onorare le vittime, tutte, da una parte e dall’altra, di una guerra ingiusta. Il ricordo dei nostri caduti, dei nostri deportati nel Terzo Reich, delle vittime delle violenze jugoslave deve necessariamente essere affiancato dalla ferma condanna delle responsabilità storiche dell’imperialismo fascista.

L’occupazione italiana è fatta di chiaroscuri: episodi di solidarietà, di aiuto alle popolazioni, con la difesa dei civili serbi dalle stragi commesse dai fascisti croati ustascia; ma anche crimini terribili, ordinati con cinismo da generali senza scrupoli, come la cattura di ostaggi, le fucilazioni dei sospetti, la distruzione di interi villaggi.

E infine le deportazioni: centomila persone internate in Lager che non sono campi di sterminio (non hanno camere a gas o forni crematori) ma hanno portato alla morte per inedia migliaia di persone.

C’è bisogno che questa conoscenza, questo riconoscimento, diventi memoria pubblica, senso comune. Ma serve l’impegno di tutti: degli studiosi, dei divulgatori, delle istituzioni.

Sono passati tanti anni. È tempo di affrontare consapevolmente questa pagina di storia senza retorica, senza paura, senza tabù; con la serenità del vecchio reduce che non ha niente da nascondere, niente da temere.


 

... a chi il 10 Febbraio urla: "e allora le foibe?"

 

A chi il 10 febbraio urla “...e allora le foibe?”

Non bisogna rispondere semplicemente tirando fuori numeri. Ristabilire la verità storica, certo, significa anche questo. Ma l’idea di combattere un’operazione di revisione della storia che mira ad equiparare la Resistenza ai crimini fascisti a colpi di numeri e fonti storiche, finisce inevitabilmente per porsi proprio sul terreno dell’equiparazione, rischiando di scivolare nella stessa logica che si vuole combattere.

Parlare del numero dei morti è sempre un’operazione delicata, e prima o poi si finisce sempre a dire che, al di là del numero, i morti sono tutti uguali. Una posizione comoda e certo diffusa. Certo, è semplice affermare che “i morti sono tutti uguali”, una volta che sono già morti.

Ma a volte, se si vuole essere davvero obiettivi, bisognerebbe anche chiedersi cos’hanno fatto in vita, prima di morire. Vittime e carnefici restano tali anche dopo essere morti e negare questo in nome di una “memoria” costruita ad hoc dai neofascisti (e accolta negli ultimi anni anche dalla sinistra), significa negare la storia. Come ha detto Alessandra Kersevan, storica del confine orientale: «Commemorare i morti nelle foibe significa sostanzialmente commemorare rastrellatori fascisti e collaborazionisti del nazismo. Per gli altri morti, quelli vittime di rese dei conti o vendette personali, c’è il 2 novembre».