domenica 4 settembre 2011

Il primato irrinunciabile della legalità nel ricordo del Generale Dalla Chiesa

Il Generale dalla Chiesa ha attraversato la vita dell'Italia in tutti i suoi momenti importanti e drammatici. Figlio di un carabiniere, vice comandante generale dell'Arma, passa nei carabinieri come ufficiale di complemento allo scoppio della seconda guerra mondiale, dopo essersi arruolato in fanteria.
L'8 settembre del '43, è comandante della tenenza di San Benedetto del Tronto e non esita a passare con la Resistenza, operando in clandestinità nelle Marche, dove organizzò i gruppi per fronteggiare i tedeschi. Finita la guerra, nel ‘49 col grado di capitano, arriva in Sicilia, a Corleone. La mafia si sta organizzando e il movimento separatista è ancora forte.
Da capitano Dalla Chiesa si trova ad indagare su settantaquattro omicidi e la scomparsa (poi rivelatasi omicidio) del sindacalista Placido Rizzotto, scoprendone il cadavere che era stato abilmente occultato e giungendo ad indagare ed incriminare l'allora emergente boss della mafia Luciano Liggio. In un rapporto del dicembre '49, dalla Chiesa indica proprio lui come responsabile di quell'omicidio. Ma poco dopo viene trasferito, prima a Firenze, poi a Como e infine a Milano.
Un trasferimento strano: che, soltanto anni dopo, si scoprirà essere stato ordinato dal generale Giovanni De Lorenzo, che stava organizzando il "Piano Solo", un tentativo di colpo di Stato per impedire la formazione del primo governo di centrosinistra.

L’assassinio: Carlo Alberto Dalla Chiesa viene ucciso a Palermo il 3 settembre 1982. E’ un venerdì, quando i sicari affiancano l’A 112 dove viaggia insieme alla moglie Emanuela Setti Carraro. Viene ucciso pure l’agente di scorta Domenico Russo che viaggia su un ‘Alfetta’.
Nel 2002 la corte d'Assise condannò all'ergastolo i killer Raffaele Ganci, Giuseppe Lucchese, Vincenzo Galatolo e Nino Madonia, e a 14 anni i pentiti di mafia, rei confessi, Francesco Paolo Anzelmo e Calogero Ganci. I mandanti della cupola: Totò Riina, Bernardo Provenzano, Michele Greco, Pippo Calò, Benrardo Brusca, e Nenè Geraci invece erano già stati condannati nel maxi processo passato in giudicato nel '92.

A quasi trent’anni dal delitto restano tuttavia ancora molti misteri. Ad iniziare dalle ore successive all’eccidio quando la cassaforte del prefetto viene violata e sparisce la chiave che misteriosamente apparirà qualche giorno dopo. Chi rovistò fra le carte del generale? E cosa c’era nella cassaforte? Forse il memoriale Moro trovato in via Montenevoso a Milano? E ancora: chi quella notte entrò prima dei magistrati nelle stanze della residenza del prefetto a Villa Pajno? Domande rimaste senza una risposta quasi trent’anni dopo.
Sulla vicenda, ancora oggi, restano le ombre, anche se i mandanti e alcuni esecutori sono stati individuati, processati e condannati all'ergastolo; sicuramente, come disse una volta l'attuale procuratore nazionale antimafia, Pietro Grasso, “per gli omicidi eccellenti bisogna pensare a mandanti eccellenti”.
La loro ricerca non ha fatto alcun passo avanti e l'unica verità giudiziaria è compendiata nelle sentenze di condanna per due sicari e per i vertici della cupola, dove gli stessi giudici di Palermo sottolineano: “Si può senz'altro convenire con chi sostiene che persistano ampie zone d'ombra, concernenti sia le modalità con le quali il generale è stato mandato in Sicilia a fronteggiare il fenomeno mafioso, sia la coesistenza di specifici interessi, all'interno delle stesse istituzioni, all'eliminazione del pericolo costituito dalla determinazione e dalla capacità del generale”.

Un uomo solo: nell'ultima intervista Carlo Alberto Dalla Chiesa disse a Giorgio Bocca: “Un uomo viene colpito quando viene lasciato solo”. Il pubblico ministero Nico Gozzo nella sua requisitoria parlò di “un delitto maturato in un clima di solitudine: Carlo Alberto Dalla Chiesa fu catapultato in terra di Sicilia nelle condizioni meno idonee per apparire l'espressione di una effettiva e corale volontà dello Stato di porre fine al fenomeno mafioso”. Inevitabili, secondo il magistrato, gli effetti di questo abbandono: “Cosa nostra ritenne di poterlo colpire impunemente perché impersonava soltanto se stesso e non già, come avrebbe dovuto essere, l'autorità”.

Dopo 29 anni per il Generale sembra che non rimanga altro spazio che quello per le commemorazioni di rito: Palermo ha ricordato “il Prefetto dei 100 giorni” con una messa e la deposizione di una corona il 29esimo anniversario della strage di mafia. Il sottosegretario all'Interno, Alfredo Mantovano, ha deposto la corona di fiori sotto la lapide che, in via Isidoro Carini, ricorda la strage. Presenti il procuratore nazionale antimafia Piero Grasso, il Prefetto, il Questore, l'Arcivescovo, il Sindaco, magistrati e vertici delle Forze di Polizia…..

Datemi pure “dell’idealista” ma (parafrasando Guccini): “ il Generale a noi piace pensarlo ancora dietro al motore, mentre fa correr via una macchina a vapore, e che ci giunga un giorno ancora la notizia di una “locomotiva” come una cosa viva, lanciata a bomba contro l’ingiustizia, l’illegalità, le collusioni le impunità le protezioni, le complicità gli interessi… e dove non è arrivata la locomotiva della giustizia arrivi quella della memoria e sia più forte della polvere e della complicità del tempo"                       [Benedetto Randazzo]

Intervista di Enzo Biagi del marzo 1981 a Carlo Alberto Dalla Chiesa in una puntata della trasmissione “Rotocalco Televisivo”. Emblematiche le risposte del Generale alle domande sul "rinnovamento della mafia" e sulle collusioni tra mafia e politica....

1 commento:

  1. Per il Generale di Corpo d'Armata, Carlo Alberto Dalla Chiesa,anche, il suo ultimo incarico da Prefetto è stato decisamente sospinto da una seria presa di coscienza.
    Il Governo Spadolini attraverso il "suo portavoce"dell'Interno,il Ministro On. Virginio Rognoni,aveva voluto espressamente una figura emblematica,mitica,ma nell'insieme, il Generale dei Carabinieri che più di tutti si era distinto nella lotta al terrorismo brigatista, mietendo successi,personali e per l'Arma stessa, di encomiabile valore e di indiscutibile giudizio.
    Il tutto per cercare di contrastare un altro fenomeno - la mafia siciliana - , che stava mietendo morti su morti:tra delitti eccellenti e guerra di mafia tra i corleonesi di Totò Riina e i palermitani del superboss Stefano Bontade.
    Il Generale Dalla Chiesa,uomo dello Stato, era stato chiaro:non poteri esclusivi o leggi speciali, ma per poter controbilanciare le forze in campo, ristretti nuclei di funzionari e investigatori. Una promessa da parte del Governo,che inizia a far suscitare aspre polemiche a Roma, quanto, in Sicilia.
    Inoltre,"Il Carabiniere più famoso del dopoguerra",come ebbe modo di esprimersi contro il perversare del terrorismo nel Nord Italia,aveva una concezione investigativa di altissimo profilo, volendo coordinare dalla Prefettura di Palermo tutte le altre della Regione Sicilia,e nel contempo spostarsi in almeno altre 10 città di Regioni meridionali, ove la densità mafiosa era più pervasa.
    Grazie...-

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