Il Generale Carlo Alberto Dalla Chiesa capì la portata devastante di “cosa nostra”, del suo sistema di potere fondato sulle colusioni con la politica e con l’economia. Sapeva bene a quali rischi andava incontro, ma da grande servitore dello Stato non si tirò indietro.
Il 3 settembre 1982 venivano assassinati dalla mafia a Palermo il Generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, la moglie Emanuela Setti Carraro e l’Agente di Polizia Domenico Russo.
L’isolamento a cui fu abbandonato creò le condizioni per il suo barbaro assassinio. Solo il giorno dopo, com’è nella peggiore tradizione della politica italiana, fu approvata quella Legge tanto cara a lui ed a Pio La Torre, che introduceva nel nostro ordinamento il reato di associazione mafiosa, il sequestro e la confisca dei beni.
Ancora oggi l’omicidio Dalla Chiesa, così come molti altri omicidi di mafia e le stragi, gridano verità e giustizia. Mancano all’appello del giudizio penale le responsabilità di chi ha colluso e depistato. Inoltre, bisogna andare fino in fondo sui rapporti mafia-politica, come fece Dalla Chiesa quando allora consegnò alla commissione antimafia le schede sui politici collusi. «Un tabù ancora vivo» – ha affermato l’On. Lumia - « se si pensa che in occasione delle ultime elezioni regionali la Commissione Antimafia ha avuto enormi difficoltà ad acquisire i pareri dei Prefetti sui candidati».
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