“Imputato, dica alla
Corte perché l'avete fatto”
“Quel prete prendeva i
ragazzi dalla strada, ci martellava con la sua parola, ci rompeva le scatole”....
19 anni fa il prete fu ucciso
dalla mafia
Don Pino Puglisi, fede e coraggio
15 settembre 1993: morte annunciata
di Pasquale
Hamel
Oggi, don Pino Puglisi, avrebbe festeggiato il suo
settantacinquesimo compleanno se qualcuno non avesse deciso che la sua vita
andava spezzata. Ricordandolo mi sovviene un’immagine, quella del lupo e
dell’agnello, dove la parte del lupo la fa il mafioso e quella dell’agnello
l’umile prete di borgata armato solo dalla forza della fede. Quando penso a don
Pino, sfortunatamente non ho avuto modo di conoscere, provo un certo imbarazzo
per chi ne ha cercato di fare l’icona di una certa antimafia di moda,
quell’antimafia gridata che troppo spesso è scivolata nell’autoreferenzialità.
Don Pino, infatti, da quanto leggo e da quanto mi hanno raccontato coloro che
l’hanno veramente conosciuto e frequentato, esercitava da buon prete, una pastorale
diretta al recupero di quanti – vivendo in ambienti degradati ed in contesti su
cui la violenza, non solo mafiosa, l’aveva fatta sempre da padrona – si erano
compromessi o potevano compromettersi con il sistema mafioso.
Ma
erano i giovani a cui, soprattutto, indirizzava le proprie attenzioni, cercando
attraverso il magistero della parola e con l’impegno nel sociale, di sottrarli
ad un futuro che appariva irrimediabilmente segnato. Un’attività pedagogica
profonda che educava il giovane a condannare il mito della violenza, che lo
portava a guardare con un occhio non compiacente il sistema mafioso, che
arrivava a dissacrare un modo di vivere e di comportarsi al di fuori ed al di
là delle regole della civile convivenza.
Quello
di don Puglisi era dunque un lavoro di lungo periodo, che si manifestava
devastante per il mondo della criminalità organizzata, perché dimostrava a quei
giovani a rischio che gli idoli mafiosi non solo erano in realtà “dei falsi e
bugiardi” di cui diffidare ma che inoltre, come si diceva un tempo, avevano i
piedi d’argilla e quindi fossero tutt’altro che invulnerabili. Il messaggio che
don Puglisi indirizzava al mafioso – arrogante e sicuro di se – lo metteva in
discussione, perché erodeva alla radice il sistema su cui la mafia fondava il
proprio potere. Esso impediva inoltre la rigenerazione della mafia. Tale
messaggio, dunque, non poteva che apparire devastante perché feriva molto di
più di qualsiasi azione repressiva tagliando le radici stesse di una
legittimazione storicamente sedimentata e, purtroppo, socialmente riconosciuta.
Una
legittimazione che era stata nobilitata anche da certa letteratura culturalista
che arrivava perfino a individuare nella “Mafiosità” positive manifestazioni di
orgoglio sicilianista.
I
tentativi spiegati dai mafiosi locali per sottrargli quei giovani terreno
fertile per il seme buono, le ripetute minacce ricevute soprattutto negli
ultimi tempi della sua breve esistenza furono il segno evidente e la chiara
conferma che la sua opera aveva colto l’obiettivo, che l’azione dell’umile
prete infervorato dalla parola evangelica che, alla domanda ” si, ma verso
dove?”, aveva trovato una risposta chiara e aveva aperto una breccia nel
recinto omertoso del sistema criminale. Si può facilmente immaginare quante
notti insonni avrà fatto passare, questo profeta disarmato, a chi aveva fatto
della violenza e della sopraffazione il suo stile di vita.
Si
può immaginare l’ira “funesta” e i proprositi di vendetta maturati in gente che
dino ad allora era considerata e si considerava indiscutibile padreterno.
Di questo furore don Pino fu sicuramente consapevole, sapeva di essere a
rischio ma non per questo fermò il suo impegno. Non sorprende dunque il “me l’aspettavo” con cui accolse i suoi
killer, sapeva infatti di non potere fare un passo indietro perché sarebbe
stato un tradire la sua Chiesa e la sua scelta di vita.
l'uomo che sparava dritto (estratto) |
Altri ragazzi di Brancaccio: Ficarra e
Picone
Sanremo
2007 – Ficarra e Picone ricordano a modo loro un grande uomo: don Pino
Puglisi.
Sembra
strano, ma in Italia da alcuni anni sono i comici che offrono i migliori
spunti di riflessione. Ficarra e Picone ci fanno conoscere un persona, un
prete, di altissimo livello sia morale che civile: don Puglisi. Un uomo che
si è donato nell’amore e che è morto martire proprio perché amava troppo il
prossimo. [guarda
il video... ]
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ed oggi?
Don Pino Puglisi verrà proclamato beato il prossimo 25 maggio. Ad annunciare la data della beatificazione del prete di Brancaccio ucciso dalla mafia è stato il Cardinale Paolo Romeo al termine della celebrazione eucaristica in memoria di Padre Puglisi.
L’annuncio dell’arcivescovo di Palermo arriva a quasi tre mesi di distanza dal decreto papale di riconoscimento del martirio “in odium fidei”, atto che ha sostanzialmente dato il via libera alla beatificazione del prete palermitano. La celebrazione con cui don Pino Puglisi verrà proclamato beato si terrà a Palermo e non a Roma, come avveniva con Giovanni Paolo II. Papa Benedetto XVI con uno dei suoi primi atti da pontefice ha infatti stabilito che le cerimonie di beatificazione si tengano nelle diocesi e vengano presiedute presiedute da un suo rappresentante, che di norma è il prefetto della Congregazione delle cause dei santi. La macchina organizzativa della diocesi palermitana, già rodata dall’ultima visita papale, dovrà così mettersi da subito in moto per organizzare questo grande evento che con ogni probabilità vedrà la partecipazione di tutte le chiese siciliane.
La causa per il riconoscimento del martirio di don Pino Puglisi era stata iniziata a livello diocesano nel 1998, a cinque anni dal delitto, per volere del cardinale Salvatore De Giorgi, allora arcivescovo di Palermo. Don Mario Torcivia che ha redatto la Positio presentata in Vaticano nel 2006 per la discussione dei teologi della Congregazione delle cause dei santi così spiegò il martirio del prete palermitano: “Don Pino non è stato ucciso solo per l’amore per Cristo, la testimonianza presbiterale resa nella parrocchia di Brancaccio, lo stretto legame instaurato tra evangelizzazione e promozione umana, l’affermazione della radicalità dei valori evangelici e della coerenza tra annuncio evangelico e testimonianza di vita, la donazione totale della vita per il Signore e i fratelli, l’impegno di educatore delle coscienze, specie quelle delle giovani generazioni, la franchezza nel dire la verità, l’attività di promozione sociale, la “provocazione” allo stile malavitoso del quartiere Brancaccio, il deciso impegno per la dignità e la promozione dell’uomo, ma è stato ucciso dall’organizzazione criminale mafiosa “in odium fidei” anche per due motivi alti: Primo perché, uccidendo don Puglisi, la mafia ha voluto colpire l’intera Chiesa italiana. Secondo, motivo più profondo, perché la mafia in quanto forma di ateismo pratico, nonostante la parvenza religiosa, è e si mostra avversa alla fede cristiana”.
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