Don Peppe Diana LA MEMORIA DELBENE PER RESISTERE AL
MALE
Il
19 marzo 1994 veniva assassinato dalla camorra il sacerdote Giuseppe Diana.
Un Sacerdote innamorato di Cristo e del Vangelo, che si prende cura del popolo
che gli è affidato, fino a diventare voce dei senza voce....
Don Peppe, nel suo percorso terreno faceva da educatore oltre che da «pastore di
anime»; si è battuto contro la criminalità organizzata della sua città, nel periodo
in cui imperversano in Campania i casalesi, camorristi legati al boss Francesco
Schiavone (detto “Sandokan”),
infiltrati negli enti locali e nell’imprenditoria. Contro questo stato di cose,
il Sacerdote scrisse una lettera, intitolata "Per
amore del mio popolo", diffusa nel giorno di Natale del 1991 in
tutte le Chiese della sua diocesi. Lo scritto, un manifesto a sostegno
dell’impegno contro la camorra, è definita in esso come una "forma di
terrorismo, che attraverso la paura impone le proprie inaccettabili leggi e
clima di inaudita violenza."
Giuseppe, però, paga purtroppo il suo coraggioso gesto con la vita: la mattina
del 19 marzo 1994, un assassino lo raggiunge, mentre si prepara a celebrare
messa, nella sagrestia della sua Chiesa ed esplode quattro colpi di pistola,
mettendo a segno una vera e propria esecuzione camorristica.
Dopo un processo funestato da depistaggi e dal tentativo di infangare la memoria
del Parroco, sono stati condannati all’ergastolo Nunzio De Falco, Mario Santoro
e Francesco Piacenti, mentre Giuseppe Quadrano, autore materiale
dell’assassinio, che in seguito all’essersi consegnato alla polizia ed all’avere iniziato a collaborare con la giustizia, è stato condannato a 14 anni di
reclusione.
“A me
non importa sapere chi è Dio. Mi importa sapere da che parte sta”. Parole
provocatorie quelle di Don Peppe Diana,
pronunciate durante un funerale, uno dei tanti, troppi, che doveva celebrare in
quella terra insanguinata dalla violenza camorrista.
4 Marzo 1976, a Mezzojuso
(Palermo), è stato ucciso il Sindacalista Dirigente " dell'Alleanza dei coltivatori", GIUSEPPE MUSCARELLA, che si scontrava con la mafia organizzando i
contadini poveri ed i piccoli allevatori della zona.
Contadino e allevatore di pollame e maiali, aveva in affitto un
terreno, mentre la moglie, Giuseppina Gattuso, gestiva un piccolo negozio di
alimentari. Padre di quattro figli, si batteva a fianco dei contadini sfruttati
dalla mafia. Nel 1974 ruppe
con la Coldiretti,
creando l'Alleanza coltivatori con circa ottanta contadini e piccoli allevatori
e, con 26 di loro, anche una cooperativa.
Cominciò a ricevere minacce e subire intimidazioni nel momento in
cui promosse l'acquisto collettivo dei fertilizzanti, riuscendo a portare il
prezzo a 10.800 lire al quintale contro le 18mila lire imposte dal cartello
monopolista controllato da Cosa Nostra.
La sera del 4 marzo fu vigliaccamente ucciso con
due colpi di fucile alle spalle, mentre rientrava a casa con la sua cavalla,
che venne impiccata.
Gli uomini valorosi come Muscarella che si sono opposti con coraggio ai
poteri criminali a costo della vita sono stati numerosi e spesso dimenticati.
Quella della lotta dei contadini e degli allevatori in
Sicilia, per il diritto negato alla terra dove lavorare e faticare per vivere
dignitosamente del proprio sudore, in Sicilia purtroppo è storia antica.
L'odierna condizione di abbandono e di sottosviluppo, vanno fatti risalire
sicuramente all'Italia post-unitaria e a quel Grande movimento contadino che
era "Il Movimento dei Fasci Siciliani" (nulla a che vedere col
fascismo). Le lotte contro il latifondismo di una Nobiltà in decadenza che si
era ritirata nei palazzi, salotti cittadini, lasciando le proprietà in mano ad
una borghesia rampante "i gabelloti", che difendevano il feudo, molto
spesso incolto, dalla ribellione e dalle occupazioni dei contadini allo stremo,
ricorrendo per la repressione, all'uso della violenza, della forza e delle armi
dei "Campieri" : i progenitori dei mafiosi, assoldati ed armati da
Nobili e Gabelloti. Una pagina di storia della mia terra che sicuramente merita
di essere "rispolverata".
È fondamentale ricordare nelle aule scolastiche le tante
tragiche storie di uomini e donne semplici e straordinari che con il loro
esempio ci tramandano i valori della cittadinanza responsabile.
- Bibliografia:
"Storia del movimento antimafia, dalla lotta di classe all'impegno civile" di
Umberto Santino.
Dopo i fatti di Pisa questo Comunicato/Lettera
è stato scritto da un gruppo di docenti del "Liceo Classico Vittorio
Emanuele II° di Palermo alle Istituzioni ed a tutti i cittadini che vorranno
condividerla.
Noi a scuola facciamo così:
Noi a scuola insegniamo l’educazione
civica.
Noi a scuola insegniamo il
rispetto delle leggi.
Noi a scuola insegniamo i valori
della Costituzione Repubblicana.
Noi a scuola insegniamo il
rispetto dell’altro.
Noi a scuola insegniamo la libertà
di espressione.
Noi a scuola insegniamo il valore
dell’argomentazione a sostegno della propria opinione.
Noi a scuola insegniamo il valore
della parola contro l’esercizio della forza fisica.
Noi a scuola insegniamo il valore
della parola non ostile.
Noi a scuola insegniamo la storia
greca e la storia romana.
Noi a scuola insegniamo che in
Grecia e a Roma esistevano spazi pubblici come l’agorà e il foro a cui nessuno
poteva sognarsi di interdire l’accesso a nessuno, e che nessun cittadino poteva
usare violenza fisica contro un altro cittadino, e che quando questo accadeva
(perché è anche accaduto) sono stati i periodi più bui della storia della
Grecia e di Roma: si chiamava guerra civile.
Noi a scuola insegniamo la storia
delle rivoluzioni.
Noi a scuola insegniamo la storia
della democrazia.
Noi a scuola insegniamo la storia
delle lotte per i diritti.
Noi a scuola insegniamo la
dichiarazione dei diritti dell’uomo.
Noi a scuola insegniamo l’habeas
corpus.
Noi a scuola insegniamo che la
legge non può prevaricare sulla dignità della persona e non può mettere in
pericolo l’incolumità fisica dell’individuo.
Noi a scuola insegniamo che l’odio
è una cosa brutta.
Noi a scuola insegniamo che la
violenza è una cosa brutta.
Noi a scuola insegniamo la lotta
alla violenza in tutte le sue forme: bullismo e cyberbullismo, femminicidio,
mafia, guerra.
Noi a scuola insegniamo la
cittadinanza.
Noi a scuola insegniamo che la
cittadinanza è partecipazione.
Noi a scuola insegniamo la
legalità.
Noi a scuola insegniamo la pace.
Noi a scuola insegniamo il valore
della diplomazia per risolvere i conflitti internazionali.Noi a scuola insegniamo il valore
della nonviolenza e del dialogo per risolvere tutti i conflitti.Le ragazze e i
ragazzi di Pisa e di Firenze hanno dimostrato di aver imparato quello che da
decenni di storia repubblicana noi gli insegniamo a scuola. E ieri ci hanno
restituito la lezione.Le ragazze e i ragazzi di Pisa e di Firenze per questo
ieri sono stati caricati, umiliati, terrorizzati, picchiati a sangue.Forse è
questo che si intende per educazione ai sentimenti e all’affettività?
Data commemorativa istituita nel 2004 in omaggio alle
vittime delle violenze (molti gettati nelle foibe) sul confine orientale alla
fine della guerra e ai profughi dall’Istria e dalla Dalmazia. Ricordare
significa innanzitutto conoscere, capire. È questo il modo migliore per onorare
le vittime, tutte, da una parte e dall’altra, di una guerra ingiusta. Il
ricordo dei nostri caduti, dei nostri deportati nel Terzo Reich, delle vittime
delle violenze jugoslave deve necessariamente essere affiancato dalla ferma
condanna delle responsabilità storiche dell’imperialismo fascista.
L’occupazione italiana è fatta di chiaroscuri: episodi di
solidarietà, di aiuto alle popolazioni, con la difesa dei civili serbi dalle
stragi commesse dai fascisti croati ustascia; ma anche crimini terribili,
ordinati con cinismo da generali senza scrupoli, come la cattura di ostaggi, le
fucilazioni dei sospetti, la distruzione di interi villaggi.
E infine le deportazioni: centomila persone internate in
Lager che non sono campi di sterminio (non hanno camere a gas o forni
crematori) ma hanno portato alla morte per inedia migliaia di persone.
C’è bisogno che questa conoscenza, questo riconoscimento,
diventi memoria pubblica, senso comune. Ma serve l’impegno di tutti: degli
studiosi, dei divulgatori, delle istituzioni.
Sono passati tanti anni. È tempo di affrontare consapevolmente questa pagina di
storia senza retorica, senza paura, senza tabù; con la serenità del vecchio
reduce che non ha niente da nascondere, niente da temere.
Non bisogna rispondere semplicemente tirando fuori numeri.
Ristabilire la verità storica, certo, significa anche questo. Ma l’idea di
combattere un’operazione di revisione della storia che mira ad equiparare la Resistenza ai crimini
fascisti a colpi di numeri e fonti storiche, finisce inevitabilmente per porsi
proprio sul terreno dell’equiparazione, rischiando di scivolare nella stessa
logica che si vuole combattere.
Parlare del numero dei morti è sempre un’operazione delicata, e
prima o poi si finisce sempre a dire che, al di là del numero, i morti sono
tutti uguali. Una posizione comoda e certo diffusa. Certo, è semplice affermare
che “i morti sono tutti uguali”, una
volta che sono già morti.
Ma a volte, se si vuole essere davvero obiettivi, bisognerebbe
anche chiedersi cos’hanno fatto in vita, prima di morire. Vittime e carnefici
restano tali anche dopo essere morti e negare questo in nome di una “memoria” costruita ad hoc dai neofascisti
(e accolta negli ultimi anni anche dalla sinistra), significa negare la storia.
Come ha detto Alessandra Kersevan, storica del confine orientale: «Commemorare i morti nelle foibe significa
sostanzialmente commemorare rastrellatori fascisti e collaborazionisti del
nazismo. Per gli altri morti, quelli vittime di rese dei conti o vendette
personali, c’è il 2 novembre».
“La mia famigghia, il
mio paese, io voglio fottermene, voglio dire che la mafia è una montagna di
mmerda ”
Dopo 43 anni dalla morte per mano mafiosa
dell’attivista antimafia Peppino Impastato, è quantomeno utile fare alcune
riflessioni sull’attualità, che oggi vadano al di là della retorica.
Una riflessione riguarda Felicia, la mamma di Peppino. Lei
è stata definita dall’A.N.P.I. “Partigiana
Antimafia”. Così come non ci sarebbe stata liberazione dal nazifascismo
senza il contributo delle donne Partigiane (lo disse Lidia Menapace), non ci
sarà la Liberazione
dalle mafie senza il contributo delle donne: mogli, figlie, sorelle, che hanno
pianto i loro morti ammazzati, ma che però non si sono rassegnate: hanno
tagliato, come Felicia i loro legami familiari e sociali ed hanno lottato,
testimoniato contro i carnefici rischiando la vita. Noi oggi dobbiamo essere
riconoscenti e dare solidarietà e sostegno a queste donne che troviamo
impegnate nelle reti sociali di comunicazione con coraggiose testimonianze
viventi di impegno e di lotta.
Una seconda riflessione va fatta a partire dalle battaglie
civili di Peppino: a partire dal suo impegno e partecipazione nel 1967 alla “Marcia per un mondo nuovo” in Sicilia,
Peppino aveva 19 anni quando partecipò. Il sociologo Danilo Dolci concluse
l’iniziativa con le parole: “Il vecchio
mondo è finito, non possiamo non vedere che un nuovo mondo ci occorre…”
Il concetto fu ripreso da altri giovani, 34 anni dopo a
Genova, che hanno gridato in piazza “un
altro mondo è possibile”, ma sappiamo come siano stati anche malmenati e
torturati…
Ed oggi? Oggi la pandemia ci insegna, non solo che questo
altro mondo è possibile, ma è necessario.
Viene da pensare allora a Peppino, al suo impegno politico
nel PSIUP, Democrazia Proletaria, quando organizzava nella sua Cinisi le lotte
contro la disoccupazione, il clientelismo, lo sfruttamento degli edili, dei
contadini espropriati delle loro terre per la costruzione di un assurdo
aeroporto…, in una parola lotte per il riconoscimento di diritti e per la giustizia
sociale; un impegno più che mai necessario oggi, che deve vedere sensibilizzati
ed impegnati i giovani.
Un’altra riflessione deve riguardare il mondo della
scuola, della cultura, dell’arte. Peppino nel suo impegno sociale e civile ha
sempre sostenuto questi campi della vita civile. Celebre è rimasta quella frase
sulla bellezza pronunciata dall’attore che lo interpretava nel film “I cento passi”, probabilmente non è una
frase sua, ma è la sintesi del suo impegno per la salvaguardia dell’integrità del
territorio, bene comune che veniva letteralmente depredato, deturpato,
inquinato dall’appetito delle mafie e delle speculazioni che negli anni 70’ stavano creando le premesse
per un falso sviluppo, che ci ha privato per sempre della bellezza del territorio,
dell’ambiente e dei suoi delicati equilibri.
Peppino lo faceva con azioni concrete, con mostre
fotografiche itineranti, passando l’informazione anche attraverso l’uso della
Radio; un elemento questo che può e deve farci riflettere oggi rispetto alla diffusione
e l’uso dei media…
Il suo certamente non era il giornalismo dei “talk show” di oggi, quasi sempre
asservito ed al seguito di questo o quel personaggio. Quello di Peppino era un
giornalismo di “controinformazione”,
sempre alla ricerca della verità: come fu al tempo l’episodio degli omicidi di
Alcamo Marina…
Un Peppino giornalista a cui toccò la stessa sorte di
altri giornalisti “d’inchiesta”: Pippo Fava, Rostagno, Giancarlo Siani, uccisi
dalla mafia, ma insieme un Peppino uomo di cultura, poeta, che amava la satira
e la usava, insieme ai suoi compagni di lotta, per scagliarsi contro il potere
mafioso, da qui la grande attualità della sua figura di intellettuale.
Ecco quello che rimane dopo 43 anni dal suo barbaro
assassinio: cultura, bellezza, verità, giustizia, impegno civile e sociale,
come lascito testamentario irrinunciabile per le generazioni a venire.
Non sapremo mai come sarebbe oggi Peppino, di sicuro è
rimasto un ragazzo trentenne che può parlare ai giovani di oggi delle
ingiustizie di un mondo che da allora è diventato più globale, un mondo che
condanna alla morte per fame e denutrizione centinaia di milioni di esseri
umani, un mondo in cui si producono e si vendono armi a paesi che non
rispettano i diritti umani, forse oggi Peppino ci parlerebbe e si batterebbe
contro tutto questo, con la sua militanza, con il suo impegno civile, ci
parlerebbe e si scaglierebbe contro ogni tipo di sopruso, violenza anche di
genere, di orientamento sessuale, dalla sua Sicilia, terra millenaria di
accoglienza e di incontro tra culture, Peppino sarebbe accanto ai migranti che
approdano li, rivendicherebbe con loro, organizzandoli, come faceva con gli
edili, i contadini ed i disoccupati di allora, dignità, futuro, cittadinanza
alle loro creature che nascono qui…
Di questo mondo nuovo che lui aveva in mente, che tanti
avevano in mente, oggi Peppino ci parlerebbe. Se solo sapessimo ascoltare
quelle parole e coniugare quell’impegno con la politica di oggi, incapace di
guardare in prospettiva, che spesso si occupa dell’effimero e guarda solo da
una parte, tutti insieme potremmo contribuire a costruire questo mondo nuovo.
Eri un fiore di campo, nato dalla terra nera.
Questa terra un giorno tornerà splendere e insieme torneremo a cantare
“Peppino è vivo e lotta insieme a noi”*
Giallo, Rosso, Arancione… spostandomi dalla Toscana
alla Sicilia, tra il 31 Gennaio ed il 1° Febbraio oltre ai confini geografici
ho attraversato zone con tutti gli indici di pericolosità previsti dalla norme
vigenti in epoca di pandemia; verifica autocertificazione e tampone in
aeroporto, hanno sancito infine il necessario “disco verde” anche da parte delle Autorità. Ogni volta, assaporo con piacere il “ritorno al mittente”, ma stavolta è stata una “corsa ad ostacoli” (colorati). E’ sempre bello riprovare questo
senso di dolcezza legato al ritorno a Cinisi.
Immancabile, come sempre, la visita a Casa Memoria, nonostante la chiusura forzata
imposta dalle limitazioni in epoca di Pandemia; le luci sono accese, Giovanni (come
sempre) è li, un salutoa Felicia che oggi
era di passaggio... Accoglienza calorosa, incontro piacevole, interrotto da
telefonate, appunti, sul tavolo un’agenda aperta “piena zipilla” (come siamo soliti dire in Toscana), di appuntamenti
per eventi-incontri-presentazioni che vedranno impegnati lui, Felicia, “i
ragazzi” di Casa Memoria nel tempo a venire.
A debita distanza (sigh!), sorseggiamo un buon
caffè, parliamo delle criticità-limitazioni imposte dall’emergenza Covid, per
le attività di Casa Memoria, dei recenti sviluppi della vicenda “caseggiato in Contrada Uliveto”,
confiscato al Boss Badalamenti ed assegnato qualche giorno fa per “l’uso sociale” previsto dalla Legge
n.109/1996, dal Comune di Cinisi, proprio a Casa Memoria: http://casamemoria.it/?p=2135
Un lieto fine a cui è stato possibile arrivare, attraverso
un percorso “accidentato”, grazie all’impegno, il coraggio, la determinazione
non solo di Casa Memoria, ma anche del Comune di Cinisi, con in testa il suo
Sindaco.
Molti ricorderanno la vicenda, che ha degli aspetti
“grotteschi” quasi in stile “Pirandelliano”: http://casamemoria.it/?p=2113, che per
dirla alla maniera di Peppino, fa ancora percepire il solito stantìo odore….
Il libro. Con Giovanni parliamo un po’ dei
contenuti del suo terzo libro, di recente uscita: “il coraggio della memoria”, una ricostruzione
storica che partendo dal 2005 arriva al 2020, anno segnato dalla pandemia da
Covid-19, con le relative preoccupazioni, ma la voglia di non fermarsi.
La
scomparsa di mamma Felicia, il 7 dicembre del 2004, ha segnato un grande
vuoto, la scelta di Giovanni Impastato è stata di mantenere fin da subito la
promessa a lei fatta di "continuare a tenere aperta la Casa" insieme ai suoi
familiari, ad alcuni compagni ed una nuova generazione che non ha conosciuto
Peppino.
Dopo
16 anni, nasce l'esigenza di raccontare questa storia attraverso una raccolta
di testi, articoli e documenti; riaffiorano tanti episodi ed analisi
riguardanti la vicenda politica e sociale del nostro Paese, rileggerli è una
spinta a continuare a costruire il futuro di questa storia, ma anche
l'occasione per alimentare una discussione all'interno di quella parte della
società civile che crede ancora in un possibile cambiamento.
Mentre autografava una copia del libro, di cui mi ha poi
fatto gradito dono, con un pensiero personalizzato, con Giovanni abbiamo
ripercorso poi un ricordo per me molto particolare, legato a questa data: il 1°
Febbraio di 10 anni fa, Giovanni e Felicia furono protagonisti e graditi ospiti
a Volterra e Pomarance, di iniziative pubbliche tenute anche nelle scuole, in
tema di movimento antimafia, cittadinanza attiva, diritti civili, ripercorrendo
le tappe della vita e dell’impegno civile di Peppino e di sua mamma Felicia: problemi
di salute mi impedirono allora di partecipare alle riuscitissime e partecipate
iniziative per la presentazione del suo primo libro “Resistere a Mafiopoli”, dopo una fase organizzativa che avevo
curato con i Comuni e le associazioni di promozione sociale del territorio di
quella parte della Toscana…