Lo scorso 21 agosto l'Agenzia nazionale per la gestione dei beni confiscati ha deciso di mettere in vendita Suvignano, 700 ettari, due agriturismi, 13 casali, sottratta alla mafia siciliana da Giovanni Falcone.
Certo, una scelta dettata dalla legge, secondo i funzionari governativi, nonostante gli enti locali, Regione Toscana in testa, avevano presentato un articolato progetto di valorizzazione, e che in qualche modo già contribuivano nella gestione dell'azienda, guidata dal 1993 da un amministratore giudiziario.
Con Suvignano sono 44 le Aziende confiscate alla mafia, destinate alla vendita. Il bene confiscato più grande del centro Italia è un’azienda ancora attiva, con dipendenti che sono riusciti a garantire la continuità delle attività agricole, turistiche e di allevamento tipiche della provincia senese. Un vero e proprio “spreco di legalità” le cui cause sono da ricercare:
a)        nella revoca dei fidi bancari: le banche “chiudono i rubinetti” non consentendo alle aziende confiscate di proseguire le attività;
b)       dopo il sequestro i fornitori chiedono di “rientrare” immediatamente dei loro crediti;
c)        innalzamento dei costi di gestione per il ricollocamento dell’azienda in un circuito legale con regolare fatturazione delle commesse e regolarizzazione dei rapporti di lavoro;
d)       gestione conservativa delle aziende da parte dell’Autorità Giudiziaria con Amministratori che spesso si trovano senza strumenti, risorse e competenze specifiche.
Queste in sintesi le cause che impediscono alle aziende sottratte alla criminalità organizzata di sostenere il Paese con occupazione e produttività in un momento di grande difficoltà economica e sociale.
Sono stati numerosi in questi giorni gli appelli - provenienti dagli enti locali, dal mondo della magistratura, del sindacato e dell'associazionismo - a non procedere alla vendita della più grande azienda agricola confiscata in Italia e a riprendere il percorso avviato dal tavolo istituzionale presso il Ministero dell'Interno, con la Prefettura di Siena, la Regione Toscana, la Provincia di Siena e il Comune di Monteroni D'Arbia, che andava nella direzione di una sua restituzione alla collettività, salvaguardandone i posti di lavoro presenti... [leggi tutto l'articolo... ]