domenica 16 settembre 2012

Don Pino Puglisi, fede e coraggio


“Imputato, dica alla Corte perché l'avete fatto”
“Quel prete prendeva i ragazzi dalla strada, ci martellava con la sua parola, ci rompeva le scatole”....

19 anni fa il prete fu ucciso dalla mafia
Don Pino Puglisi, fede e coraggio
15 settembre 1993: morte annunciata
di Pasquale Hamel

Oggi, don Pino Puglisi, avrebbe festeggiato il suo settantacinquesimo compleanno se qualcuno non avesse deciso che la sua vita andava spezzata. Ricordandolo mi sovviene un’immagine, quella del lupo e dell’agnello, dove la parte del lupo la fa il mafioso e quella dell’agnello l’umile prete di borgata armato solo dalla forza della fede. Quando penso a don Pino, sfortunatamente non ho avuto modo di conoscere, provo un certo imbarazzo per chi ne ha cercato di fare l’icona di una certa antimafia di moda, quell’antimafia gridata che troppo spesso è scivolata nell’autoreferenzialità. Don Pino, infatti, da quanto leggo e da quanto mi hanno raccontato coloro che l’hanno veramente conosciuto e frequentato, esercitava da buon prete, una pastorale diretta al recupero di quanti – vivendo in ambienti degradati ed in contesti su cui la violenza, non solo mafiosa, l’aveva fatta sempre da padrona – si erano compromessi o potevano compromettersi con il sistema mafioso.
Ma erano i giovani a cui, soprattutto, indirizzava le proprie attenzioni, cercando attraverso il magistero della parola e con l’impegno nel sociale, di sottrarli ad un futuro che appariva irrimediabilmente segnato. Un’attività pedagogica profonda che educava il giovane a condannare il mito della violenza, che lo portava a guardare con un occhio non compiacente il sistema mafioso, che arrivava a dissacrare un modo di vivere e di comportarsi al di fuori ed al di là delle regole della civile convivenza.
Quello di don Puglisi era dunque un lavoro di lungo periodo, che si manifestava devastante per il mondo della criminalità organizzata, perché dimostrava a quei giovani a rischio che gli idoli mafiosi non solo erano in realtà “dei falsi e bugiardi” di cui diffidare ma che inoltre, come si diceva un tempo, avevano i piedi d’argilla e quindi fossero tutt’altro che invulnerabili. Il messaggio che don Puglisi indirizzava al mafioso – arrogante e sicuro di se – lo metteva in discussione, perché erodeva alla radice il sistema su cui la mafia fondava il proprio potere. Esso impediva inoltre la rigenerazione della mafia. Tale messaggio, dunque, non poteva che apparire devastante perché feriva molto di più di qualsiasi azione repressiva tagliando le radici stesse di una legittimazione storicamente sedimentata e, purtroppo, socialmente riconosciuta.
Una legittimazione che era stata nobilitata anche da certa letteratura culturalista che arrivava perfino a individuare nella “Mafiosità” positive manifestazioni di orgoglio sicilianista.
I tentativi spiegati dai mafiosi locali per sottrargli quei giovani terreno fertile per il seme buono, le ripetute minacce  ricevute soprattutto negli ultimi tempi della sua breve esistenza furono il segno evidente e la chiara conferma che la sua opera aveva colto l’obiettivo, che l’azione dell’umile prete infervorato dalla parola evangelica che, alla domanda ” si, ma verso dove?”, aveva trovato una risposta chiara e aveva aperto una breccia nel recinto omertoso del sistema criminale. Si può facilmente immaginare quante notti insonni avrà fatto passare, questo profeta disarmato, a chi aveva fatto della violenza e della sopraffazione il suo stile di vita.
Si può immaginare l’ira “funesta” e i proprositi di vendetta maturati in gente che dino ad allora era considerata e si considerava indiscutibile padreterno.
Di questo furore don Pino fu sicuramente consapevole, sapeva di essere a rischio ma non per questo fermò il suo impegno. Non sorprende dunque il “me l’aspettavo” con cui accolse i suoi killer, sapeva infatti di non potere fare un passo indietro perché sarebbe stato un tradire la sua Chiesa e la sua scelta di vita.


l'uomo che sparava dritto (estratto)



Il backstage documentario su un film che ha raccontato una delle pagine peggiori della lotta alla mafia. Alla luce del sole è un film di denuncia sociale diretto da Roberto Faenza, dedicato all'omicidio di Don Pino Puglisi. Il film è riconosciuto come d'interesse culturale nazionale dalla Direzione Generale per il Cinema del Ministero per i Beni e le Attività Culturali italiano. [ guarda il video... ]




























 Altri ragazzi di Brancaccio: Ficarra e Picone


Sanremo 2007 – Ficarra e Picone ricordano a modo loro un grande uomo: don Pino Puglisi.
Sembra strano, ma in Italia da alcuni anni sono i comici che offrono i migliori spunti di riflessione. Ficarra e Picone ci fanno conoscere un persona, un prete, di altissimo livello sia morale che civile: don Puglisi. Un uomo che si è donato nell’amore e che è morto martire proprio perché amava troppo il prossimo. [guarda il video... ]

ed oggi?
Don Pino Puglisi verrà proclamato beato il prossimo 25 maggio. Ad annunciare la data della beatificazione del prete di Brancaccio ucciso dalla mafia è stato il Cardinale Paolo Romeo al termine della celebrazione eucaristica in memoria di Padre Puglisi. L’annuncio dell’arcivescovo di Palermo arriva a quasi tre mesi di distanza dal decreto papale di riconoscimento del martirio “in odium fidei”, atto che ha sostanzialmente dato il via libera alla beatificazione del prete palermitano. La celebrazione con cui don Pino Puglisi verrà proclamato beato si terrà a Palermo e non a Roma, come avveniva con Giovanni Paolo II. Papa Benedetto XVI con uno dei suoi primi atti da pontefice ha infatti stabilito che le cerimonie di beatificazione si tengano nelle diocesi e vengano presiedute presiedute da un suo rappresentante, che di norma è il prefetto della Congregazione delle cause dei santi. La macchina organizzativa della diocesi palermitana, già rodata dall’ultima visita papale, dovrà così mettersi da subito in moto per organizzare questo grande evento che con ogni probabilità vedrà la partecipazione di tutte le chiese siciliane. La causa per il riconoscimento del martirio di don Pino Puglisi era stata iniziata a livello diocesano nel 1998, a cinque anni dal delitto, per volere del cardinale Salvatore De Giorgi, allora arcivescovo di Palermo. Don Mario Torcivia che ha redatto la Positio presentata in Vaticano nel 2006 per la discussione dei teologi della Congregazione delle cause dei santi così spiegò il martirio del prete palermitano: “Don Pino non è stato ucciso solo per l’amore per Cristo, la testimonianza presbiterale resa nella parrocchia di Brancaccio, lo stretto legame instaurato tra evangelizzazione e promozione umana, l’affermazione della radicalità dei valori evangelici e della coerenza tra annuncio evangelico e testimonianza di vita, la donazione totale della vita per il Signore e i fratelli, l’impegno di educatore delle coscienze, specie quelle delle giovani generazioni, la franchezza nel dire la verità, l’attività di promozione sociale, la “provocazione” allo stile malavitoso del quartiere Brancaccio, il deciso impegno per la dignità e la promozione dell’uomo, ma è stato ucciso dall’organizzazione criminale mafiosa “in odium fidei” anche per due motivi alti: Primo perché, uccidendo don Puglisi, la mafia ha voluto colpire l’intera Chiesa italiana. Secondo, motivo più profondo, perché la mafia in quanto forma di ateismo pratico, nonostante la parvenza religiosa, è e si mostra avversa alla fede cristiana”.