martedì 27 settembre 2011

Dal 27/09 al 4/11, "IV Meeting della Legalità"

I Comuni toscani sono da sempre in prima linea nella promozione della cultura della legalità. Legalità significa affermazione del valore del rispetto delle regole. Dietro una parola che può sembrare a volte astratta, c’è un principio fondamentale di uguaglianza e di democrazia. Senza temere di apparire retorici sottolineare l’importanza di questi valori, apprezzarli, applicarli ed educare i nostri giovani a camminare nel solco della giustizia è fondamentale.
La legalità e la sua garanzia devono essere un impegno trasversale nel lavoro quotidiano delle istituzioni in stretto rapporto con le imprese, le associazioni e i cittadini per affermare con forza questo valore come uno dei principi fondanti della nostra democrazia.
Sono i valori a segnare le piccole e grandi scelte di ogni giorno; per questo contribuire a creare una cultura della legalità è un investimento sul futuro, per una società più equa, più giusta e più solidale.
Consolidando l’esperienza avviata lo scorso anno, il Meeting della legalità promosso dal Comune di Quarrata (PT) con il patrocinio dalla Regione Toscana, dalla Provincia di Pistoia ed il sostegno di Anci Toscana, vede la partecipazione dei Comuni di Livorno, Monsummano Terme (PT), San Giuliano Terme (PI) e della Cooperativa Incontro di Pistoia con ben 17 iniziative tra cui quella di sabato 8 ottobre 2011 a San Giuliano Terme (PI), dove alle 10,30 è prevista l’inaugurazione piazza Giovanni Falcone e Paolo Borsellino Zona impianti sportivi e la partita di calcio Nazionale italiana sindaci – Nazionale italiana magistrati.
 
La Locandina con il calendario degli eventi la trovate sul sito di
AVVISO PUBBLICO - Enti locali e Regioni per la formazione civile contro le mafie:

sabato 24 settembre 2011

Un museo nel casolare di Impastato e 47 disegnatori gli rendono omaggio

di ADRIANA FALSONE
Qui gli assassini di Peppino Impastato, dopo aver eseguito il delitto, misero a punto la messinscena che diede vita poi al depistaggio. Adesso questo casolare diventerà proprietà della Regione che lo destinerà a museo. La proposta dell'assessore all'Economia Gaetano Armao, d'intesa con il Comune di Cinisi, risponde all'appello lanciato attraverso "Repubblica" da Giovanni Impastato, fratello di Peppino, che aveva denunciato lo stato di degrado in cui si trova la struttura di contrada Feudo, a Cinisi: "Salviamo questo casolare, è tutto ciò che qui attorno conserva l'ultimo respiro di Peppino".
Dopo la pubblicazione dell'articolo, 47 disegnatori di tutta Italia si sono mobilitati e hanno realizzato altrettante tavole dedicate a Peppino e al luogo in cui fu ucciso per sostenere la campagna per la memoria.
"Sono le immagini dentro di noi a mantenere viva la memoria e questi disegni sono i simboli che stanno qui a manifestarlo. Nonostante tutto Peppino non è morto, è qui con noi adesso e potete vederlo con i vostri occhi - spiega Lelio Bonaccorso, promotore della mobilitazione degli artisti.
Sarebbe meraviglioso se a questa iniziativa partecipassero molte altre persone, esprimendo così con forza che "Peppino è vivo e le sue idee non moriranno mai".

Un piccolo casolare di campagna e la sua memoria...

[di Casa Memoria Felicia e Peppino Impastato - Cinisi]
Stretto tra il monte Pecoraro e le piste dell’aeroporto è ancora lì, come se non fossero trascorsi 33 anni. Ancora guarda dalle sue piccole finestrelle gli uccelli d’acciaio che atterrano a Punta Raisi, come dicevano a Radio Aut, e i treni che passano veloci sulla linea ferrata Palermo-Trapani. Non è altro che un piccolo casolare di campagna, sito in contrada Feudo. Prima piccola stalla,  poi destinato ad essere qualcos’altro, teatro di una triste, tragica vicenda. È proprio lì, infatti, che Peppino venne portato la sera dell’8 maggio del 1978 ed è proprio lì, all’interno di uno dei suoi piccoli vani, che venne malmenato pesantemente, preso a sassate, per poi essere trascinato sui binari e fatto saltare in aria, con una carica di esplosivo.
Lì, al suo interno, la mattina del 9 maggio 1978 sono state ritrovate le tracce di sangue e le pietre macchiate consegnate ai carabinieri e poi sparite. E sparsi in quel piccolo angolo di campagna i resti che appartenevano al corpo di Peppino. Ed è lì, sul campo, che proprio quello stesso giorno è iniziato il depistaggio, con l’occultamento delle prove, la riparazione immediata dei binari con il riempimento del cratere dell’esplosione e il fatto che quella piccola struttura venne del tutto ignorata durante gli accertamenti delle forze dell’ordine e la sua esistenza neppure risulta dai verbali redatti dagli agenti intervenuti. Lì, proprio lì, i compagni di Peppino venivano tenuti lontani da un cordone di polizia, mentre i curiosi potevano tranquillamente scorazzare o persino avvicinarsi all’auto di Peppino, aprire la portiera, entrare nell’abitacolo. Ed è lì che il giorno dopo proprio i compagni dovettero tornare, per portare avanti un lavoro traumatico, per raccogliere prove e indizi allo scopo di smontare la tesi dell’attentato terroristico, fotografando ogni minimo dettaglio, trovando altre pietre insanguinate e altri resti di Peppino lì abbandonati, che furono raccolti in miseri sacchetti di plastica. Proprio lì, infine, lungo i binari, fu collocato a testimonianza un cartello che riportava la scritta “Giuseppe Impastato, assassinato dalla mafia qui”.
Prima era una piccola trazzera a condurvici, adesso una stradina costeggiata da villette, comparse come funghi a rompere l’isolamento e il silenzio della campagna. E lo sguardo che non sa se posarsi in lontananza sui versanti della montagna alle spalle o sulle acque del  mare di fronte, si stringe ben presto tristemente su un lucchetto che serra alla recinzione una rete sgangherata in ferro. Certo non fa da protezione, perché impedisce l’accesso solo a chi giunge in quel luogo per portargli omaggio in quanto testimone di un pezzo di storia e teatro di una memoria, mentre lo stesso, chissà come, non accade a chi lì vi reca per altri scopi, per pascolarvi le mucche o scaricare abusivamente rifiuti o materiale di risulta.
A nulla è valso il vincolo posto sulla struttura del casolare nel 2003 dai commissari prefettizi che amministrarono il comune quando la giunta di allora fu sciolta per infiltrazione mafiosa. “Bene di interesse storico-culturale”, così risulta registrato anche nel piano regolatore, ma il terreno circostante resta di proprietà privata.
Ci siamo rivolti alle istituzioni locali per trovare una soluzione e ci hanno dato ascolto dicendoci, però, che non sono disponibili fondi per l’acquisizione del terreno. E così fino ad ora  non siamo riusciti a superare l’ostacolo, abbandonando quel posto all’incuria e noi stessi alla tristezza sconfinata che ci cattura ogni volta che ci rechiamo lì.
Adesso, però, siamo stanchi di aspettare. Vogliamo veder rinascere quel luogo come un giardino della memoria, con un prato verde, installazioni e una targa a ricordo.
Ogni luogo ha una memoria, ma alcuni più degli altri e di questi bisogna avere cura e rispetto,  bisogna lasciare che ogni loro angolo racconti quello che ha vissuto, come quel carrubo posto lateralmente al casolare sotto il quale fu parcheggiata l’auto di Peppino, che continua imperterrito a diramare le sue radici nel terreno.
Presto lanceremo un’iniziativa pubblica per il recupero del casolare, ma vogliamo che diventi un’occasione di mobilitazione collettiva, di tutti coloro che conservano una forte sensibilità riguardo la memoria di chi ha lottato in difesa dei diritti di tutti e del nostro territorio, senza alcuna forma di strumentalizzazione o appropriazione. Speriamo nel sostegno di tanti.
[di Casa Memoria Felicia e Peppino Impastato - Cinisi]

martedì 20 settembre 2011

Collegno (TO) dedica i giardini a Peppino Impastato

 [acmos.net]
La città di Collegno ha deciso di dedicare dei giardini  di via De Amicis a Peppino Impasatato, l'inaugurazione è avvenuta nel pomeriggio di venerdi e ha visto la partecipazione delle istituzioni, di diverse associazioni del territorio e della cittadinanza.
Il sindaco Silvana Accossato, in apertura, sottolinea come sia un segnale forte dedicare dei giardini, un luogo d'incontro e di dialogo, ad una figura importante come quella di Peppino, la cui storia, per troppo tempo oscurata e offuscata, dimostra l'importanza della comunicazione e della denuncia. Segue l'intervento del presidente di Casa Sicilia, Serafino Gianni Sanfilippo, che racconta come la sua associazione abbia fatto dipingere delle orme che collegano l'ingresso del giardino al monumento dedicato a Peppino, a rappresentare i 100 passi, che questa volta non deve più fare da solo: la lotta alle mafie deve diventare sempre più una battaglia comune. Prende quindi la parola Maria Josè Fava, referente di Libera Piemonte che, prendendo spunto dall'operazione Minotauro e dalle evidenze emerse che segnalano il potere della mafia anche sui nostri territori, attraverso corruzioni, collusioni e rapporti con la politica. Chi appartiene alle Istituzioni non può permettersi simili sottovalutazioni. La 'ndrangheta in Piemonte esiste da anni. Il tempo della sottovalutazione è ampiamente scaduto. afferma che la figura di Impastato è un esempio importante per l'associazione che lei rappresenta per tre motivi. Innanzitutto egli, seppur cresciuto in una famiglia mafiosa, decide di lottare in prima linea contro la criminalità organizzata, dimostrando che la cultura si può cambiare. In secondo luogo Peppino fa una scelta precisa:utilizza come armi la cultura e il bello, la sua battaglia è fatta anche di trasmissioni radiofoniche e poesie. Infine quella di Impastato è una lotta a 360°, il suo impegno parte dalla radio, ma arriva anche alla politica, ed è proprio in quel momento che viene ucciso.
Dopo Libera è la volta di Luciana Penna, la scultrice che ha realizzato il monumento dedicato a Peppino, posto al centro del giardino. L'artista spiega il significato dell'opera: la statua rappresenta una figura di profilo che tiene un microfono in mano da cui si diffonde la voce, rappresentata da dei cerchi. Con l'altra mano l'uomo alza un coperchio che svela una piovra, che sta stritolando un uomo. La Penna racconta della sua scelta di raffigurare la vita e la forza della battaglia e della denuncia.
Dopo la lettura della targa e lo scoprimento del monumento, ci si sposta al centro civico Giuseppe Dozzo, dove Diego Sarno,per Avviso Pubblico, sottolinea come le amministrazioni abbiano il compito di tenere alta l'attenzione sul rischio di infiltrazioni mafiose. Dopo di lui il Travelgec di Acmos e l'associazione Il laboratorio di Calvino, leggono alcune poesie dedicate a Peppino e ricordano la figura di Mauro de Mauro, di cui in quella data, ricorre l'anniversario della scomparsa. In conclusione viene proiettato il film documentario di Antonio Bellia, "Nel cuore delle alghe e dei coralli- i 100 passi di Peppino Impastato".
Momenti come questi, dimostrano l'importanza della memoria oltre che la possibile unione tra le amministrazioni e le associazioni nell'impegno condiviso contro le mafie, ognuno con i propri mezzi e le proprie competenze.

"Lunga è la notte e senza tempo..."

La notte di Peppino è lunga e triste, la pioggia è come lacrime che appannano la vista, in attesa di un riscatto che, a Cinisi, forse non arriverà mai.
Peppino aveva un modo di fare poesia passionale, ermetico e improvvisato come l'autentica passione politica, del resto.
Mai, purtroppo, in questi 33 anni le sue parole ed il suo pensiero hanno smesso di esssere attuali…
E’ di questi giorni il tentativo dichiarato di perpetuare la notte sull'Italia tutta, facendo calare un immenso bavaglio sulle redazioni di qualsiasi mezzo di informazione e di accecare la pubblica opinione, affinchè nulla veda e nulla sappia sul degrado politico, etico e sociale che ha ormai ridotto ad una sorta di fogna a cielo aperto, questo paese.
E’ in questo clima di degrado che qualche giorno fa si è levato l’appello di Giovanni, fratello di Peppino e di Radio 100 Passi: “Salviamo il casolare e tutto ciò che conserva l'ultimo respiro di Peppino…”, dopo la constatazione dello stato di degrado del casolare in località “Feudo” a Cinisi, dove 33 anni fa, fu ucciso il fratello.
All’appello lanciato da Radio 100 Passi (*leggi) e dalle pagine del quotidiano La Repubblica (*leggi) da parte di Giovanni Impastato e dell’Associazione Casa memoria di Cinisi (*leggi comunicato), è seguito un “tam-tam” sul web provocando in poche ore prese di posizione autorevoli: On. Sonia Alfano (*leggi) ed iniziative di mobilitazione da parte di associazioni, partiti, giornalisti e semplici cittadini, volte a sensibilizzare il Sindaco e l’Amministrazione comunale di Cinisi ad intervenire, attivandosi subito, per restituire la dignità già violata, al luogo dove Peppino fu assassinato dai sicari di Tano Badalamenti.
Singolare e spero efficace, l’iniziativa di Giulio Cavalli (attore, scrittore, regista, Consigliere Regionale Lombardia), che in queste ore dal suo “blog” ha lanciato l’iniziativa: Pulite la memoria di Peppino Impastato! Ci metto la firma, una raccolta firme “on line” per « inviare una mail (tecnicamente: mailbombing) al sindaco di Cinisi ed esprimere il nostro sdegno…» 
Un Paese civile non può lasciare marcire i luoghi della memoria dei propri uomini lasciati soli già una volta.
Bisogna fare qualcosa tutti e subito perché questa “lunga notte senza tempo” italiana, non diventi infinita…


Petizione “on-line” di Giulio Cavalli:

lunedì 19 settembre 2011

Taranto intitola una via a Peppino Impastato

Taranto, 16/9/2011, quartiere Paolo VI, a ridosso dell’acciaieria ILVA alle spalle della sede della Corte d’Appello del Tribunale, é stata inaugurata una via che il Comune ha voluto intestare a Peppino Impastato.
Questa è solo l’ultima, in ordine di tempo, delle tante risposte che sono state date in tutta Italia al sindaco leghista di Ponteranica, un comune in provincia di Bergamo  che,  nel settembre del 2009, aveva deciso di togliere l’intitolazione della biblioteca comunale ad uno dei personaggi simbolo dell’antimafia.
A Taranto, per l’occasione, si è recato Giovanni Impastato, fratello di Peppino. Giovanni, insieme ad Augusto Rocchi, responsabile dell’economia nella segreteria del Partito della Rifondazione Comunista, ha partecipato alla Festa di Liberazione, organizzata dal circolo di Rifondazione Comunista “Peppino Impastato”.
Tutto ciò nelle stesse ore in cui si stanno moltiplicando le iniziative, di Casa Memoria di Cinisi, della famiglia, di Radio100 Passi, di semplici cittadini, del web ecc., volte a sensiblizzare il Sindaco e gli Amministratori del Comune di Cinisi ad attivarsi per restituire la dignità già violata, al luogo dove fu assassinato Peppino Impastato 33 anni fa, dopo il grido lanciato nei giorni scorsi da Giovanni, fratello di Peppino, nel vedere dimenticato ed oltraggiato un importante luogo di memoria come il casolare il località “Feudo” a Cinisi.

sabato 17 settembre 2011

Il luogo della memoria dimenticato

 (di Danilo Sulis)
Il casolare dove venne assassinato Peppino Impastato versa in condizioni pietose. Il proprietario, un benestante di Cinisi, lo lascia nel degrado più assoluto. Per questo la famiglia Impastato tempo fa aveva chiesto di poterlo acquistare ma la richiesta fu esosa e fuori da ogni valutazione anche di mercato.
Successivamente il commissario dello stato lo dichiarò luogo di memoria ponendovi il vincolo. Il passo successivo avrebbe dovuto essere l’esproprio, ma l’attuale amministrazione comunale non avvia la procedura. Ora pare che il Sindaco, “per accelerare il percorso”, voglia acquisire il bene non con l’esproprio, ma con l’acquisto.
In paese qualche maligno sostiene che sia un modo per favorire il proprietario, ed in ogni caso nell’attesa, per non far partire la giusta pratica d’esproprio.
Siamo stati sul luogo che oltre ad essere diventata una discarica, è anche sommerso da sterco, segno che, alla faccia della memoria, il luogo non è solo abbandonato, ma viene addirittura utilizzato in maniera irriguardosa  e dispregiativa; gli stessi vicini lamentano la vergogna.
Radio 100 passi intende lanciare una campagna per l’acquisizione del luogo alla collettività per farlo diventare il giardino della memoria.

venerdì 16 settembre 2011

16 Settembre 1982, Sabra e Chatila – Un massacro impunito

Sono le 17 quando le truppe falangiste cristiane libanesi entrano nel campo profughi palestinesi di Sabra e Chatila, in un’area controllata da truppe israeliane e compiono indisturbate un massacro. In 40 ore vengono distrutte centinaia di abitazioni ed uccisi circa 3000 profughi – UN GENOCIDIO del nostro tempo per il quale nessuno è mai stato condannato né tantomeno inquisito.
Tra il 16 ed il 18 settembre 1982, il popolo di Palestina ed il mondo intero, furono colpiti da un orrendo crimine: a Sabra e Chatila, abitavano migliaia di rifugiati palestinesi cacciati dalla Palestina nel 1948 durante l’occupazione Sionista delle loro case e delle loro terre, li furono circondati e rinchiusi durante l’aggressione Sionista e l’occupazione di Beirut.
Le forze Sioniste, sotto il comando di Ariel Sharon, prima ministro della difesa, poi primo ministro dello Stato Sionista, hanno accerchiato i campi ormai svuotati dai combattenti della resistenza e abitati soprattutto da donne e bambini palestinesi e libanesi, ordinando l’entrata a Sabra e Chatila delle Forze libanesi, una milizia di falangisti di destra con stretti legami con gli occupanti Sionisti e l’Esercito del Libano del Sud, l’esercito manovrato dell’entità Sionista in Libano.
Per i due giorni che sono seguiti, aiutati dall’illuminazione dei razzi notturni e da altri appoggi dell’esercito Sionista che circondava i campi, queste milizie hanno torturato, stuprato ed assassinato migliaia di rifugiati palestinesi, con la piena approvazione ed appoggio degli invasori Sionisti.
Il sangue di migliaia di rifugiati palestinesi dei campi di Sabra e Chatila è rimasto impresso sulle mani di Ariel Sharon, nel brutale massacro di un popolo, che tutt’oggi continua.
Per i più giovani è bene ricordare che le radici del massacro di Sabra e Chatila sono da ricercare nel 1948 e nell’espropriazione ed espulsione di centinaia di migliaia di Palestinesi durante la colonizzazione Sionista e l’occupazione di quella terra, della loro terra.
I Palestinesi furono costretti a riparare in campi profughi sparsi in tutta la nazione Araba, gli furono negati i loro diritti e la loro identità, furono le vittime designate dello sterminio di una Nazione.
Dal 1948, i Palestinesi sono stati dappertutto oggetto di attacchi alle loro vite, ai loro diritti e vivono sotto costanti e barbare aggressioni; i crimini di guerra ed il massacro di Sabra e Chatila è solo uno dei più terribili esempi. 
I massacri non sono finiti il 18 settembre 1982, non si sono mai fermati e continuano tutt’oggi.
I crimini continueranno fino a che non verrà realizzata la vera giustizia e la liberazione per tutti i rifugiati palestinesi con il riconoscimento del diritto a ritornare nelle proprie case e terre e finché non verranno realizzati i diritti alla liberazione nazionale, alla sovranità e all’autodeterminazione: tutti concetti compresi nella dichiarazione dei diritti dell’uomo, universalmente riconosciuta…
L’unica difesa per i rifugiati palestinesi è l’esercizio del loro fondamentale diritto al ritorno. Le migliaia di assassinati nei campi di Sabra e Chatila sono morti lottando per quel diritto. Un diritto che ancora oggi è vitale e fondamentale per i Palestinesi .
E’ bene non dimenticare che i crimini del Sionismo, in quanto progetto di insediamento coloniale, fanno parte dei crimini commessi dall’imperialismo degli Stati Uniti nella nazione Araba ed in tutto il mondo; anche l’invasione Sionista del Libano ebbe la piena approvazione ed  appoggio degli USA; ancora oggi, non è un segreto, l’entità Sionista riceve miliardi di dollari ed armamenti ogni anno dal governo degli USA per continuare la sua aggressione furiosa contro il popolo Palestinese e che si consuma quotidianamente anche con il silenzio di tutte le nazioni che hanno lottato per ottenere gli stessi diritti fondamentali…

giovedì 15 settembre 2011

« …io sono venuto qui per aiutare la gente per bene a camminare a testa alta…»

Sono parole di Don Pino Puglisi e credo che se Cristo fosse stato suo contemporaneo, nel quartiere Brancaccio di Palermo, non avrebbe fatto o detto una cosa tanto diversa…
La storia di Don Pino Puglisi è quella della Chiesa migliore, quella fatta di parroci che svolgono un ruolo fondamentale in un contesto sociale come quello di Brancaccio e di tanti altri luoghi in cui la criminalità ha sempre avuto una fortissima influenza su tutto; è la dimostrazione che la mafia ha paura di chi diffonde la cultura antimafia assumendosi la responsabilità di proteggere i bambini ed i ragazzi, senza nascondersi o tirarsi indietro mai, nemmeno di fronte alla certezza di essere eliminati.
« Me l'aspettavo ». Furono le ultime parole pronunciate dal parrocco di Brancaccio 18 anni fa davanti alla pistola impugnata dal suo assassino Giuseppe Grigoli, quel giorno compiva 56 anni.
Queste parole proprio a rimarcare (qualora ce ne fosse stato ancora bisogno), la sua consapevolezza di essere il primo bersaglio dopo Falcone e Borsellino per via della sua posizione contro la mafia che non è riuscita, con il suo assassinio, né a fermarlo né a cancellarlo dalla memoria delle persone.
Nel gennaio 1993 aveva aperto il centro "Padre Nostro", diventato in breve tempo punto di riferimento per i giovani e le famiglie del quartiere. La sua attività pastorale - come è stato ricostruito anche dalle inchieste giudiziarie - ha costituito il movente dell'omicidio.
I killer erano dunque attesi dal sacerdote che era consapevole del pericolo al quale si era esposto con la sua azione di recupero dei giovani del quartiere sottratti al dominio del clan dei Graviano.
Gli esecutori e i mandanti mafiosi, legati alla cosca mafiosa di Filippo e Giuseppe Graviano, sono stati condannati con sentenze definitive: ergastolo per i Graviano, Gaspare Spatuzza (che spalleggiava il killer e poi ha raccontato i retroscena del delitto), Nino Mangano, Cosimo Lo Nigro e Luigi Giacalone.
Oltre a Spatuzza anche Grigoli è diventato collaboratore giustizia: la sua scelta, che ha preceduto quella di Spatuzza, gli è valsa una condanna a 16 anni.
Nel 1999 il cardinale Salvatore De Giorgi ha aperto la causa di beatificazione proclamando padre Puglisi "servo di Dio". La prima fase del processo si è conclusa nel 2001; da allora il fascicolo è all'esame della Congregazione per le cause dei santi in Vaticano.A_testa_alta
La sua storia è raccontata nel film di denuncia sociale “Alla luce del sole” del 2005 diretto da Roberto Faenza, dove il ruolo di Don Pino è interpretato da Luca Zingaretti e con il libro “A testa alta” scritto nel 2003 da Banca Stancanelli.
Perché continuare allora a parlare di Don Puglisi, in fondo la sua opera è stata raccontata, assassini e mandanti sono stati assicurati alla giustizia…. Sicuramente perché è una necessità: dal suo insegnamento emerge una ineguagliabile lezione d'amore per la giustizia e la non violenza, insieme a un forte messaggio pedagogico. Don Pino è stato ucciso perché la mafia non poteva tollerare l’amore e l’impegno con cui egli si dedicava a sottrarre i giovani alla strada, alla malavita e farlo a Brancaccio per loro rappresentava “un cazzotto nello stomaco”…
La testimonianza che Salvatore Grigoli, l’assassino di don Puglisi, ha reso pubblicamente dopo essersi convertito, conferma che, per estirpare la mafia non basta il coraggio delle forze dell’ordine dei politici e dei magistrati onesti… La forza per sconfiggere la mafia è l’impegno civile, sociale, l’amore per se stessi, per la propria gente, per la propria terra, che può e deve trasformare le coscienze, cambiare la mentalità, la cultura e la vita.
Palermo ricorda Don Puglisi nel 18° anniversario del suo assassinio il 14 Settembre con una fiaccolata a Brancaccio promossa dalla parrocchia San Gaetano; il 15 Settembre In mattinata sarà proiettato il film "Alla luce del Sole" nella casa circondariale "Pagliarelli" alla presenza del regista Roberto Faenza, alle 18 in cattedrale il cardinale Salvatore De Giorgi presiederà una solenne celebrazione eucaristica e alle 21 andrà in scena un concerto dell'orchestra sinfonica siciliana che eseguirà un brano teatrale su padre Puglisi di Salvo Piparo.

sabato 10 settembre 2011

Quale 11 settembre….

Non lo ricordo, non potrei ricordarlo, quel terribile 11 settembre di 38 anni fa, avevo solo 9 anni…
Ricordo però un manifesto in bianco e nero alla Radio, l’immagine e la frase e di un uomo coraggioso: «Sono pronto a resistere con ogni mezzo, anche a costo della vita, in modo che ciò possa costituire una lezione nella storia ignominiosa di coloro che hanno la forza ma non la ragione…» - Salvador Allende
1970 - La coalizione di sinistra Unidad Popular (che raggruppa Partito Socialista, Partito Radicale, Partito Comunista e Movimento de Acciòn Popular Unitario con l'appoggio esterno di tutti i sindacati) vince le elezioni in Cile.
Il candidato si chiama Salvador Allende Gossens, prende più voti di tutti e il Congresso Nazionale ratifica la sua elezione a presidente.
E' il primo candidato marxista ad essere eletto democraticamente in un paese del Sudamerica, un fatto incontrovertibile. Per il momento Nixon non può farci niente.
La posizione degli Stati Uniti in merito allo svolgersi della legislatura di Unidad Popular, viene ben espressa dal segretario di stato Henry Kissinger durante le elezioni: "L'irresponsabilità di un popolo scellerato che pone le basi per il socialismo, non deve essere tollerata. La questione è troppo importante perché gli elettori cileni possano essere lasciati soli a decidere....".
E' solo questione di tempo, se Allende vuole modificare fattivamente la situazione del paese deve fare in fretta.
Allende riesce in breve a farsi amare dal popolo e odiare da tutti quegli imprenditori, stranieri e cileni, i cui interessi vengono fortemente minati dalle sue politiche. Nazionalizzazione delle miniere di rame, delle principali industrie e dei latifondi di proprietà straniera, riforma agraria, sospensione del pagamento del debito estero, tassa sulle plusvalenze e aumento dei salari di base.
Il 1973 è l'anno della fine. Il prolungato sciopero dei camioneros, foraggiati dalla CIA, e diversi tentativi di colpo di stato mettono il governo in ginocchio. Il tentativo del presidente è di placare il malcontento dei militari con diversi rimpasti che li includano nel governo.
L' 11 settembre un golpe militare appoggiato da Stati Uniti, esponenti di ceti elevati, vertici della Chiesa cattolica cilena, rovesciò il governo legittimo di Allende.
Il golpe, guidato da Augusto Pinochet, appena nominato generale dallo stesso Allende, pose fine alla via cilena per il socialismo e alla speranza che una rivoluzione potesse ancora darsi per mezzo delle istituzioni dello Stato.
Pinochet governò il Paese da dittatore dall'11 settembre 1973 fino all'11 marzo 1990; durante la sua dittatura militare venne attuata una forte repressione dell'op-posizione, ritenuta un vero “democidio”.
 La tortura contro i dissidenti era pratica comune. I dissidenti assassinati per aver pubblicamente parlato contro la politica di Pinochet venivano definiti "desapparecidos” (scomparsi). Non si sa esattamente quanta gente sia stata uccisa dalle forze del governo e dei militari durante i diciassette anni che rimase al potere ma la “Commissione Rettig”, voluta dal governo democratico succeduto alla dittatura, elencò ufficialmente 2.095 morti e 1.102 "scomparsi".
L'ultimo computo aggiornato, presentato nell'agosto 2011 da una commissione incaricata dal governo, porta il numero totale delle vittime a 40.018 di cui circa 3000 oppositori politici e 130.000 arrestati in maniera arbitraria. Tra le vittime, ucciso nello Estadio Nacional de Chile insieme a molti altri, anche il regista e cantante Víctor Jara, senza contare le decine di migliaia di cileni lasciarono il Paese per sfuggire al regime.
Pinochet lasciò ufficialmente il potere solo nel 1990, rimanendo però capo delle forze armate fino al 1998. Divenne poi senatore a vita, godendo dell'immunità parlamentare.

I rapporti con il Vaticano 

Papa Giovanni Paolo II visitò il Cile nell'aprile 1987 e incontrò Pinochet. A volere fortemente quel viaggio l'allora nunzio apostolico nel Paese sudamericano Angelo Sodano.

Polemiche in tutto il mondo ci furono per l'affacciarsi giulivo del Papa al balcone del Palazzo della Moneda con il generale sanguinario e la benedizione impartita, nel cortile interno dello stesso palazzo ai funzionari del suo governo.
Il 18 febbraio del 1993 giunsero a Pinochet due lettere di auguri da parte del papa Wojtyła e del Segretario di Stato Angelo Sodano in occasione della ricorrenza delle sue nozze d'oro.
Nell'ottobre del 1998, mentre si trovava a Londra, Pinochet fu arrestato su mandato del governo spagnolo, per crimini contro l'umanità, per la sparizione di cittadini iberici; la magistratura spagnola indagava sul ruolo di Pinochet nella Operazione Condor, il piano concordato negli anni settanta tra le dittature latinoamericane e gli Stati Uniti d'America per reprimere le derive progressiste del continente.
Pinochet non fu però mai condannato per motivi di salute: rientrò in Cile, dove riuscì ad evitare i processi e dove morì nel 2006.


link fonti:
Video: “Ellas danzan solas” di Sting
Video: “Il giorno del Falco” di Pippo Pollina
Video: “Salvador” dei Nomadi

mercoledì 7 settembre 2011

Un treno di donne per salvare la nostra Costituzione

La proposta di modifica dell'articolo 1 della Costituzione presentata da un semisconosciuto deputato pidiellino è qualcosa di più di una proposta ad personam.
Una trovata tutta berlusconiana; la tecnica è sempre la stessa: quella dei “peones anonimi” che vengono mandati avanti in solitario per proporre le leggi ad personam… se poi va male….(reazione forte) beh, perché prendersela tanto, rimane pur sempre la proposta di uno sconosciuto “peone”.
Era il mese di aprile di quest’anno, lo sconosciuto di turno: il Deputato Remigio Ceroni; mission: nuova proposta Pdl anti toghe, Consulta e Quirinale, presentata il 18 aprile sotto forma di proposta di legge per riformare l’articolo 1 della Costituzione: la proposta, ribadendo la centralità del Parlamento, mette infatti all'angolo Capo dello Stato e Consulta.
La tecnica “dei peones” non dovrebbe esservi del tutto sconosciuta, l’esecutivo ne ha fatto spesso uso, è dai tempi della prima legge sulla riduzione dei tempi di prescrizione che le cose, vanno avanti così.
Ad inaugurare la stagione fu Melchiorre Cirami. Presentò una legge su quello che poi gergalmente fu chiamato “legittimo sospetto e rimessione del processo”, per consentire una più agevole ricusazione di un collegio giudicante nel caso di “forte turbativa” al sereno svolgimento del procedimento. Il buon Melchiorre, insomma, fu il primo che ci mise la faccia. Poi arrivò Edmondo Cirielli, che mise su un bel papocchio per cambiare il codice penale là dove si parlava sempre di prescrizione, inventandosi un meccanismo per diminuire i termini di prescrizione ed aumentare le pene per i recidivi e per i delitti di associazione mafiosa e usura. Finì in un tale vortice di critiche che, alla fine, decise di ritirare la firma dalla legge che, comunque, fu puntualmente approvata e passata alla storia con il nome di “ex Cirielli” perché Edmondo decise di togliere la firma.
Alla Camera, il più profilico presentatore di leggi pro Silvio è Luigi Vitali del Pdl. A lui si deve la presentazione prima della prescrizione breve, poi diventata parte integrante del processo breve e da poco approvata…, è stato sempre lui a firmare una vera perla nell’immaginario delle leggi personali berlusconiane: l’ingiusta intercettazione, una misura stra-punitiva per i magistrati (e per i giornalisti) palesemente incostituzionale, ma capace di diventare emendamento ad hoc all’interno della legge sulle intercettazioni… beh l’elenco sarebbe lungo, esattamente come quello delle “leggi ad personam”…
Ed ora tocca alla Costituzione. Nessuno si era ancora spinto al punto di chiedere la modifica della prima parte della nostra Costituzione, peones o no questo rappresenta un campanello d'allarme da non sottovalutare!
L'idea del Treno delle donne per la Costituzione alla volta di Roma per presidiare il Parlamento a difesa della Costituzione, è nata dopo l'annunciata modifica dell'art. 1 della Carta costituzionale, dal confronto tra le donne della Rete delle Donne Siciliane Per la Rivoluzione Gentile, che ne è la Promotrice.
Gli Italiani hanno già bocciato a maggioranza con il Referendum del 2006 le scellerate riforme volute dal precedente esecutivo di destra e non si può far finta che ciò non sia successo e tornare allegramente a stravolgerla!
Il treno delle donne attraverserà l’Italia partendo da Nord (Milano) e da Sud (Palermo)


L'evento avrà un prosieguo, con la partecipazione alla marcia per la Pace Perugia-Assisi del 25 settembre 2011





lunedì 5 settembre 2011

Omicidio Vassallo, un anno fa il delitto irrisolto del “Sindaco pescatore”

Il ricordo e la rabbia in alcune dichiarazioni rilasciate ad “ADNKRONOS” dal figlio Antonio e dall’attuale Sindaco Pisani.
Il 5 settembre di un anno fa veniva assassinato il sindaco di Pollica Angelo Vassallo, il “sindaco pescatore” che in tre mandati ha trasformato il suo paese di 2mila abitanti nel cuore del Cilento in una località turistica capace di ottenere per diversi anni consecutivi le '5 vele' di Legambiente e la Bandiera blu della Fee. A un anno dalla sua morte, avvenuta in un agguato camorristico che lo ha colto mentre rientrava nella sua casa nella frazione di Acciaroli, non è ancora emersa la verità sul delitto.
All'ipotesi, sorta fin dal primo momento, di un agguato di stampo camorristico, se ne sono aggiunge col tempo altre: "Prima la figlia di un poliziotto, poi il locale notturno, tante storie che a volte ci hanno dato l'impressione di vivere in un film. La verità non la devono solo a noi ma anche a lui, che è stato lasciato solo allora e così rischia di esserlo una seconda volta ", aggiunge Antonio, che con la fondazione “Angelo Vassallo sindaco pescatore”, mantiene viva la memoria del padre e porta avanti i progetti che l'ex sindaco di Pollica ha lasciato incompiuti.
"Mio padre - spiega Antonio Vassallo - aveva intorno a sé una squadra di persone, non amministratori o politici quanto tecnici e avvocati, tutti amici legatissimi tra loro che facevano tutto quello che potevano fare per lui e per Pollica, senza nessuna retribuzione. Non era un team organizzato, ma qualcosa che veniva naturale. Erano queste le persone a lui vicine, mentre lo Stato lo ha lasciato solo: lo continueremo a dire anche se è qualcosa che non si vuol sentire e che fa girare il muso. Spesso ha chiesto aiuti che non ha avuto, parlo di politici, forze dell'ordine, che non hanno capito che qui c'era un sindaco che poteva fare del bene non solo al suo paese ma a tutta la regione. Oggi sono tutti bravi a parlare bene di lui e a fare il suo nome, ma non posso dire che, dopo quel settembre, sia venuto qualcuno qui a dirci 'cosa possiamo fare per voi".
In compenso a dicembre, invece, è arrivata la Procura di Vallo della Lucania a notificare il sequestro di una parte del ristorante del “sindaco pescatore”: secondo i magistrati, non avrebbe potuto usufruire del condono edilizio e, di conseguenza, non sarebbe stato possibile concedere l'autorizzazione per l'apertura.
"E' stata per qualche tempo la barzelletta di una piccola parte d'Italia - ricorda Vassallo - ma quando ci arrivò la notizia fu uno dei peggiori cazzotti in faccia per noi. Papà non ha sbagliato mai niente, non metteva neanche un mattone fuori posto, figurarsi nel ristorante al quale teneva tanto. Ci siamo rialzati, nella stagione estiva abbiamo lavorato, ma non vediamo l'ora di dimostrare che non c'è stato nessun abuso", aggiunge.
"La sua è una figura particolare - afferma Antonio - e tra le tante cose dette su di lui ci sono ancora aspetti non venuti alla luce".
Un libro  “Il sindaco pescatore”, scritto a quattro mani dal fratello di Angelo Vassallo, Dario, presidente della Fondazione e Nello Governato, che sarà presentato il 5 settembre ad Acciaroli, una delle due frazioni del comune di Pollica che si affacciano sul mare del Cilento.
"Dentro ci sono le sue opere, le sue battaglie, tutti gli schiaffi in faccia che ha preso", racconta il figlio Antonio, che aggiunge: "Quello che ha fatto è qui, presente, lo possiamo vedere intorno a noi. Io e tutti i miei familiari siamo orgogliosissimi di tutto quello che ha fatto. Forse, vivendolo ogni giorno, neanche noi ci eravamo mai accorti di quanto fosse grande, di quanto era riuscito a fare per noi".
A raccogliere la pesante eredità di Angelo Vassallo, "forse il compito più difficile di tutti" come lo definisce il figlio Antonio, è stato Stefano Pisani, eletto a maggio nuovo sindaco di Pollica dopo essere stato per molti anni al fianco dell'ex primo cittadino.
"Certe volte mi chiedono dove io abbia trovato la forza di continuare, e rispondo che è merito dell'incoscienza. Cerchiamo di rivolgere la nostra attenzione alle cose da fare, piuttosto che a pensare ad Angelo che non c'è più", spiega all'ADNKRONOS Pisani.
"L'affetto che ci legava ad Angelo - racconta - andava al di là del semplice rapporto politico-istituzionale, insieme a lui abbiamo scommesso su come si poteva cambiare questo territorio. Non vogliamo parlare di lui al passato, perché quello che ha fatto per questa comunità è ancora vivo e continua a essere il nostro progetto di sviluppo per questa comunità. In questi mesi è stato fatto uno sforzo immane per continuare il suo lavoro".
Quando ad amministrare il territorio ci sono uomini così, la politica locale si riduce ad un corpo a corpo drammatico fra gli amministratori onesti (lasciati soli dallo Stato e spesso avversati dal governo) e le mafie economico-strutturali; se non saremo capaci di annientare questo binomio saremo un Paese che avrà sempre più bisogno di eroi, che sfidano quotidianamente il martirio.
Sui territori del sud, è, infatti, in corso una sfida fondamentale che è “nazionale” nel senso gramsciano del termine; resa più difficile dall’indirizzo leghista e secessionista del regime.
Occorre un ritorno alla politica vera, costituzionale, che è l’unica nemica delle mafie, perché tenta di rilanciare coscienza e senso di massa, perché ricerca la contraddizione di fondo tra capitale e vita, che è, oggi, perno della nuova questione meridionale.
Le mafie sono nelle istituzioni, nelle polizie, nell’economia, nel lavoro. Non lasciare soli gli amministratori come Angelo Vassallo signfica riprendere le battaglie di Angelo, sull’ambiente, sulla costa, sul mare, sui beni comuni; essi devono diventare le nostre battaglie, ricostruendo un popolo e una società. La borghesia mafiosa siede nei consigli di amministrazione, gestisce lo smaltimento dei rifiuti, si fa assegnare finanziamenti pubblici attraverso società criminali o prestanomi. E’ lì, allora, il campo dell’immpegno istituzionale e sociale. E’ parte del conflitto contro il capitale, nelle forme, nelle dimensioni che esso assume nei territori meridionali.
Solo se siamo veramente convinti e crediamo in questo, allora Angelo Vassallo è uno di noi.
[Benedetto Randazzo]

domenica 4 settembre 2011

Il primato irrinunciabile della legalità nel ricordo del Generale Dalla Chiesa

Il Generale dalla Chiesa ha attraversato la vita dell'Italia in tutti i suoi momenti importanti e drammatici. Figlio di un carabiniere, vice comandante generale dell'Arma, passa nei carabinieri come ufficiale di complemento allo scoppio della seconda guerra mondiale, dopo essersi arruolato in fanteria.
L'8 settembre del '43, è comandante della tenenza di San Benedetto del Tronto e non esita a passare con la Resistenza, operando in clandestinità nelle Marche, dove organizzò i gruppi per fronteggiare i tedeschi. Finita la guerra, nel ‘49 col grado di capitano, arriva in Sicilia, a Corleone. La mafia si sta organizzando e il movimento separatista è ancora forte.
Da capitano Dalla Chiesa si trova ad indagare su settantaquattro omicidi e la scomparsa (poi rivelatasi omicidio) del sindacalista Placido Rizzotto, scoprendone il cadavere che era stato abilmente occultato e giungendo ad indagare ed incriminare l'allora emergente boss della mafia Luciano Liggio. In un rapporto del dicembre '49, dalla Chiesa indica proprio lui come responsabile di quell'omicidio. Ma poco dopo viene trasferito, prima a Firenze, poi a Como e infine a Milano.
Un trasferimento strano: che, soltanto anni dopo, si scoprirà essere stato ordinato dal generale Giovanni De Lorenzo, che stava organizzando il "Piano Solo", un tentativo di colpo di Stato per impedire la formazione del primo governo di centrosinistra.

L’assassinio: Carlo Alberto Dalla Chiesa viene ucciso a Palermo il 3 settembre 1982. E’ un venerdì, quando i sicari affiancano l’A 112 dove viaggia insieme alla moglie Emanuela Setti Carraro. Viene ucciso pure l’agente di scorta Domenico Russo che viaggia su un ‘Alfetta’.
Nel 2002 la corte d'Assise condannò all'ergastolo i killer Raffaele Ganci, Giuseppe Lucchese, Vincenzo Galatolo e Nino Madonia, e a 14 anni i pentiti di mafia, rei confessi, Francesco Paolo Anzelmo e Calogero Ganci. I mandanti della cupola: Totò Riina, Bernardo Provenzano, Michele Greco, Pippo Calò, Benrardo Brusca, e Nenè Geraci invece erano già stati condannati nel maxi processo passato in giudicato nel '92.

A quasi trent’anni dal delitto restano tuttavia ancora molti misteri. Ad iniziare dalle ore successive all’eccidio quando la cassaforte del prefetto viene violata e sparisce la chiave che misteriosamente apparirà qualche giorno dopo. Chi rovistò fra le carte del generale? E cosa c’era nella cassaforte? Forse il memoriale Moro trovato in via Montenevoso a Milano? E ancora: chi quella notte entrò prima dei magistrati nelle stanze della residenza del prefetto a Villa Pajno? Domande rimaste senza una risposta quasi trent’anni dopo.
Sulla vicenda, ancora oggi, restano le ombre, anche se i mandanti e alcuni esecutori sono stati individuati, processati e condannati all'ergastolo; sicuramente, come disse una volta l'attuale procuratore nazionale antimafia, Pietro Grasso, “per gli omicidi eccellenti bisogna pensare a mandanti eccellenti”.
La loro ricerca non ha fatto alcun passo avanti e l'unica verità giudiziaria è compendiata nelle sentenze di condanna per due sicari e per i vertici della cupola, dove gli stessi giudici di Palermo sottolineano: “Si può senz'altro convenire con chi sostiene che persistano ampie zone d'ombra, concernenti sia le modalità con le quali il generale è stato mandato in Sicilia a fronteggiare il fenomeno mafioso, sia la coesistenza di specifici interessi, all'interno delle stesse istituzioni, all'eliminazione del pericolo costituito dalla determinazione e dalla capacità del generale”.

Un uomo solo: nell'ultima intervista Carlo Alberto Dalla Chiesa disse a Giorgio Bocca: “Un uomo viene colpito quando viene lasciato solo”. Il pubblico ministero Nico Gozzo nella sua requisitoria parlò di “un delitto maturato in un clima di solitudine: Carlo Alberto Dalla Chiesa fu catapultato in terra di Sicilia nelle condizioni meno idonee per apparire l'espressione di una effettiva e corale volontà dello Stato di porre fine al fenomeno mafioso”. Inevitabili, secondo il magistrato, gli effetti di questo abbandono: “Cosa nostra ritenne di poterlo colpire impunemente perché impersonava soltanto se stesso e non già, come avrebbe dovuto essere, l'autorità”.

Dopo 29 anni per il Generale sembra che non rimanga altro spazio che quello per le commemorazioni di rito: Palermo ha ricordato “il Prefetto dei 100 giorni” con una messa e la deposizione di una corona il 29esimo anniversario della strage di mafia. Il sottosegretario all'Interno, Alfredo Mantovano, ha deposto la corona di fiori sotto la lapide che, in via Isidoro Carini, ricorda la strage. Presenti il procuratore nazionale antimafia Piero Grasso, il Prefetto, il Questore, l'Arcivescovo, il Sindaco, magistrati e vertici delle Forze di Polizia…..

Datemi pure “dell’idealista” ma (parafrasando Guccini): “ il Generale a noi piace pensarlo ancora dietro al motore, mentre fa correr via una macchina a vapore, e che ci giunga un giorno ancora la notizia di una “locomotiva” come una cosa viva, lanciata a bomba contro l’ingiustizia, l’illegalità, le collusioni le impunità le protezioni, le complicità gli interessi… e dove non è arrivata la locomotiva della giustizia arrivi quella della memoria e sia più forte della polvere e della complicità del tempo"                       [Benedetto Randazzo]

Intervista di Enzo Biagi del marzo 1981 a Carlo Alberto Dalla Chiesa in una puntata della trasmissione “Rotocalco Televisivo”. Emblematiche le risposte del Generale alle domande sul "rinnovamento della mafia" e sulle collusioni tra mafia e politica....

sabato 3 settembre 2011

29 anni fa l'assassinio del Gen. Dalla Chiesa

Il Generale Carlo Alberto Dalla Chiesa capì la portata devastante di “cosa nostra”, del suo sistema di potere fondato sulle colusioni con la politica e con l’economia. Sapeva bene a quali rischi andava incontro, ma da grande servitore dello Stato non si tirò indietro.
Il 3 settembre 1982 venivano assassinati dalla mafia a Palermo il Generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, la moglie Emanuela Setti Carraro e l’Agente di Polizia Domenico Russo.
L’isolamento a cui fu abbandonato creò le condizioni per il suo barbaro assassinio. Solo il giorno dopo, com’è nella peggiore tradizione della politica italiana, fu approvata quella Legge tanto cara a lui ed a Pio La Torre, che introduceva nel nostro ordinamento il reato di associazione mafiosa, il sequestro e la confisca dei beni.
Ancora oggi l’omicidio Dalla Chiesa, così come molti altri omicidi di mafia e le stragi, gridano verità e giustizia. Mancano all’appello del giudizio penale le responsabilità di chi ha colluso e depistato. Inoltre, bisogna andare fino in fondo sui rapporti mafia-politica, come fece Dalla Chiesa quando allora consegnò alla commissione antimafia le schede sui politici collusi. «Un tabù ancora vivo» – ha affermato l’On. Lumia - « se si pensa che in occasione delle ultime elezioni regionali la Commissione Antimafia ha avuto enormi difficoltà ad acquisire i pareri dei Prefetti sui candidati».

giovedì 1 settembre 2011

5 e 6 Settembre 2011: Casa Memoria Impastato chiude il palinsesto delle iniziative estive con due appuntamenti presso la Pizzeria Impastato


    Il Mediterraneo difficile: storie e destini che si incrociano per mare, tra fatiche e sofferenze, pescatori e migranti.

  “Don Vito a Gomorra, mafia e antimafia tra pizzini, papelli e bestseller”. Presentazione del libro di Umberto Santino.
 
Anche questa estate è arrivata ormai alla conclusione e così si chiude anche il palinsesto delle iniziative organizzate da “Casa Memoria Felicia e Peppino Impastato” presso la Pizzeria Impastato (Cinisi, SS113 km 288,800).
L’associazione conclude la “bella stagione” come consuetudine, tra l’impegno e l’incanto, la riflessione e la cultura; quest’anno con due importanti appuntamenti previsti per il 5 e 6 settembre 2011 a partire dalle ore 21.00.

 5 settembre 2011 ore 21.00
Il Mediterraneo difficile, destini e storie che si incrociano per mare, tra fatiche e sofferenze, pescatori e migranti”.
Il Mediterraneo, mare difficile, parla, racconta storie di pescatori e migranti, storie di chi soffre per la fame, le guerre, la persecuzione e affronta viaggi disperati per salvarsi; storie di chi fatica per procacciarsi cibo e un minimo guadagno; storie di antiche traversate e nuove speranze. Sono storie cullate dalle onde, divise tra i riflessi di luce e il buio delle grandi profondità; tra l’umanità di chi salva i migranti e la vergognosa persecuzione giudiziaria delle istituzioni; storie pescate dalle reti di chi sa ascoltare.
- Proiezione video "Mare aperto" di Enrico Montalbano; segue commento dell'autore
-  Sbarchi, tragedie, salvataggi e la vergognosa persecuzione giudiziaria; relazionano Judith Gleitze e Mimma Grillo del Forum antirazzista Palermo
- Recital di poesie sul tema immigrazione a cura di Emilia Ricotti
-  Ensemble musicale dal respiro africano con Matilde Politi, DouDou Diouf, Kadialy Kolyate.

6 settembre 2011 ore 21.00
Don Vito a Gomorra, mafia e antimafia tra papelli, pizzini e best sellers” presentazione del testo di Umberto Santino con gli interventi di Francesco La Licata, giornalista ed autore del libro “Don Vito” e Tano Grasso, presidente della Federazione Nazionale delle Associazioni Antiracket e Antiusura.
Sarà un occasione per riflettere su come le macchinazioni, i paradisi e gli inferni costruiti, i falsi miti e le belle parole, così come i castelli di carte della comunicazione di massa abbiano intaccato la lucidità e l’esame di realtà e influito sulle modalità del fare antimafia e del fare politica in generale.